I palestinesi sono sotto occupazione, non hanno uno Stato e ora devono fare i conti anche con le “politiche fiscali” dei due governi che controllano Cisgiordania e Gaza. Gli abitanti dei Territori occupati si scoprono «tartassati». E ora divampano le proteste. A Ramallah e in altre città della Cisgiordania regna il malumore tra la gente ed i commercianti sono schierati contro il premier Salam Fayyad che ha intenzione di sanare, a spese del contribuente, il deficit dell’Anp aggravato lo scorso anno da una riduzione del 25% delle donazioni internazionali (frutto della crisi mondiale). A Gaza sono in tanti a lamentarsi per imposte e balzelli di ogni genere introdotti da Hamas nell’ultimo anno che colpiscono una popolazione in gran parte povera, senza lavoro e che da anni deve fare i conti con un duro blocco israeliano. Ma ad alzare la voce sono soprattutto i proprietari e i lavoratori dei tunnel tra Gaza ed Egitto. Il premier del governo di Hamas, Ismail Haniyeh, applica «dazi doganali» sull’import-export sotterraneo, incassando una quota consistente dei profitti generati dal contrabbando.
In Cisgiordania l’imposta sul reddito è salita al 30%, il doppio rispetto ad un anno fa. Fayyad spiega questo aumento con l’urgenza di coprire il deficit di bilancio (1,1 miliardi di dollari) e con la promessa fatta ai paesi donatori di rinunciare ai finanziamenti internazionali nel 2013. Promessa ambiziosa perché gran parte della popolazione della Cisgiordania è a basso reddito e lotta contro un costante aumento dei prezzi. I più colpiti si sentono commercianti e imprenditori che dopo aver beneficiato, attraverso la crescita dei consumi, dell’ingente flusso di fondi internazionali, adesso sono chiamati a dare un contributo significativo alle casse dell’Anp. Incurante delle proteste il governo Fayyad ha aumentato l’Irpef, introdotto nuove tasse su terreni e immobili e previsto tagli alle spese che colpiranno anche sanità e istruzione. In questo modo il premier crede di poter dare piena copertura al budget annunciato per il prossimo marzo di 3,5 miliardi di dollari e di poter restituire alle banche locali i prestiti ricevuti per 1,1 miliardi di dollari e debiti con imprese private che superano i 400 milioni di dollari.
A Gaza invece si fanno i conti con nuove tasse, in ogni settore, che colpiscono anche i cittadini stranieri che da qualche mese sono tenuti a pagare un «visto d’ingresso» del costo di 45 shekel (circa 10 euro) ogni volta che entrano nella Striscia. Ma il polmone delle entrate fiscali sono i tunnel sotterranei da dove entra a Gaza un po’ di tutto, dalle medicine alle motociclette, dal carburante ai materiali da costruzione. Il governo di Hamas impone una tassa di 2 euro per una tonnellata di ghiaia, 4 euro per una tonnellata di cemento e 11 euro per una tonnellata di metallo. Più pesanti le tasse per chi attraverso i tunnel «importa» automobili (che arrivano smontate e vengono riassemblate a Gaza): da 1000 a 6000 dollari, in base alla cilindrata. Una politica «fiscale» che non colpisce solo i più ricchi perché l’introduzione delle nuove tasse ha provocato un immediato aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità e di largo consumo tra i poveri.
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