Bashar Assad non si fa da parte. Damasco ha respinto il nuovo piano della Lega Araba, proposto ieri su pressione di Qatar e Arabia saudita, che «invita» il presidente siriano a trasferire il potere al suo vice per formare «entro due mesi», un governo di unità nazionale che prepari il terreno ad elezioni parlamentari e presidenziali. Ma questo secco “no” difficilmente fermerà i paesi del Golfo, dominanti nella Lega araba, che ieri hanno ottenuto il ricorso all’Onu escluso sino a ieri da Algeria, Iraq, Egitto, Sudan e dallo stesso segretario generale, Nabil el Arabi.
La riunione dei ministeri degli esteri arabi ieri al Cairo è stata una vera e propria battaglia diplomatica. La bozza di risoluzione prevedeva inizialmente solo la proroga di un mese della missione degli osservatori in Siria e il suo rafforzamento da 165 “monitors” a 300 (addestrati con l’ausilio dell’Onu). Era stata anche respinta la richiesta, sostenuta con insistenza dal Consiglio nazionale siriano di Burhan Ghalioun (Cns, che tra i gruppi dell’opposizione siriana è il più favorevole ad un intervento militare straniero), di portare subito il dossier siriano al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Poi, durante la serata, si è fatta più forte la pressione di Qatar e Arabia saudita (che ha anche annunciato il ritiro dei suoi osservatori in Siria). Il rappresentante del Qatar, Ahmad ben al Thani, presidente di turno della Lega araba, ha affermato che le alternative per la Siria «sono soltanto due»: forza militare araba o Consiglio di sicurezza. Il segretario Nabil el Arabi ha perciò dovuto mediare tra le posizioni contrapposte e ha presentato un compromesso: proroga della missione degli osservatori (inutile per Qatar e Arabia saudita) e collaborazione attiva con l’Onu. Di fatto è un passo deciso verso il ricorso al Consiglio di Sicurezza e, forse, ad un nuovo «intervento umanitario» internazionale, ossia la guerra, in Medio Oriente.
La partita giocata ieri alla Lega araba ha evidenziato ancora una volta che la crisi siriana rientra sempre di più nello scontro in atto nella regione tra l’Iran sciita, stretto alleato di Damasco, e le petromonarchie sunnite del Golfo. Questi ultimi – responsabili in casa propria di pesanti violazioni dei diritti umani e politici – chiaramente non hanno a cuore la libertà e i diritti per i siriani e neppure le migliaia di morti che avrebbe fatto la repressione ordinata dal regime di Assad. Piuttosto Doha e Riyadh vedono nella caduta di Assad e del suo regime il modo per isolare ulteriormemte il loro nemico, l’Iran, e per portare al vertice in Siria la maggioranza sunnita oggi esclusa dal potere detenuto in buona parte dagli alawiti (una setta di origine sciita) che formato l’elite del regime.
La situazione diplomatica rimane fluida. Alle Nazioni Unite la Siria conserva il pieno sostegno della Russia. I rapporti tra i due paesi rimangono stretti. Mosca e Damasco in questi giorni hanno firmato anche un accordo per la fornitura di 36 aerei Yakovlev-130 russi per l’addestramento dei piloti di caccia, un contratto dal valore che ammonta a 550 milioni di dollari. Tuttavia le pressioni su Mosca sono destinate a crescere e l’intervento militare straniero, simile a quello avvenuto in Libia (anche’esso promosso in sede di Lega araba dal Qatar), non è affatto scongiurato. La Turchia, ad esempio, ieri si è detta pronta a collaborare con l’Onu.
«Se una tragedia umanitaria ha luogo proprio sotto i nostri occhi, allora è l’Onu che deve agire e noi siamo pronti a collaborare con le Nazioni Unite», ha detto il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu che domani si recherà in Russia. Ankara – che già ospita il comando dei disertori del cosiddeto “Esercito libero siriano” (Els) e il Cns – è tra i paesi che spingono per un intervento militare, mascherato da una «iniziativa umanitaria», e da tempo lascia capire di essere pronta ad attuare una «zona di interzione al volo» in Siria per proteggere i civili, ossia la «no-fly zone» che in Libia diede luce verde ai bombardamenti della Nato e dei «Volenterosi» a sostegno dei ribelli anti-Ghaddafi.
Intanto i disertori dell’Els, hanno abbandonato nella notte la cittadina di Douma (20 km da Damasco), che avevano occupato dopo intensi combattimenti con l’Esercito. Ieri scontri fra forze regolari e disertori sono avvenuti anche a Talafita, sempre nei pressi della capitale siriana, dove sono morte cinque persone: due ufficiali, un soldato, un disertore e un civile. Una settima vittima si è registrata a Idlib, nel nord ovest del paese.
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