Abu Mazen rifiuta i negoziati senza confini stabiliti
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Abu Mazen rifiuta i negoziati senza confini stabiliti

Ieri il presidente dell’Anp ha bloccato i colloqui con Israele: nessun tavolo senza confini stabiliti. Ma ancora una volta Ramallah dimentica i temi cruciali.

Abu Mazen rifiuta i negoziati senza confini stabiliti
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26 Gennaio 2012 - 14.19


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di Emma Mancini

Abbas batte il pugno e dice no ai negoziati: al tavolo con Israele, l’Autorità Palestinese e l’OLP non torneranno fino a quando non si discuterà di confini. La chiusura del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, è giunta ieri poche ore prima del quinto incontro previsto ad Amman tra il team di negoziatori palestinese e quello israeliano.

Molte erano state le manifestazioni di protesta contro negoziati ancora una volta di basso profilo da parte della società civile palestinese, che dal 14 al 21 gennaio si era più volte ritrovata di fronte alla Muqata a Ramallah, sede dell’Autorità Palestinese. La richiesta: far saltare un tavolo ridicolo e futile, un dialogo che per l’ennesima volta non trattava le questioni fondamentali per l’indipendenza della Palestina: rifugiati, Gerusalemme, prigionieri politici, colonie.

Le proteste sono sorte come naturale risposta a una giravolta improvvisa all’interno dell’ANP: se alla fine del 2011 Abbas negava di voler riaprire i colloqui di pace, già il 3 gennaio era seduto al tavolo giordano.

Ma Abu Mazen ora pare aver colto il messaggio: basta negoziati fino a quando Israele non si impegnerà a mettere sul tavolo i temi cuore del conflitto. Come i confini: “Se stabiliremo i confini, sarà possibile tornare ai negoziati, ma gli israeliani non vogliono farlo”, ha detto ieri Abu Mazen dopo l’incontro con l’ospite del tavolo negoziale, re Abdullah II di Giordania. Ovvero, Ramallah tornerà a dialogare con Tel Aviv se l’espansione delle colonie sarà immediatamente congelata e se si tracceranno i confini tra i due Stati alla linea esistente prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967: senza l’annessione di Gerusalemme allo Stato d’Israele.

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La parte palestinese, guidata dal capo negoziatore Saeb Erekat, aveva accettato piccoli aggiustamenti nella definizione dei confini, attraverso lo scambio di territori, una proposta che Israele non ha mai sottoscritto. Il premier Netanyahu non ha mai parlato ufficialmente di uno scambio di terre, ma ha sempre insistito sullo status di Gerusalemme: la Città santa è fuori discussione, quale capitale indivisibile dello Stato di Israele.

Come spiegato dall’ex negoziatore dell’Olp, Nabil Shaath, Israele ha messo sul tavolo una proposta di 21 punti, che mancano però di qualsiasi dettaglio e che sono “piuttosto un tema sulla pace fatto da uno studente delle superiori”. A sua volta, Abbas ha rigettato i 21 punti giudicandoli privi di valore.

Il presidente palestinese ha aggiunto di volersi consultare con la Lega Araba il prossimo 4 febbraio in merito alle prossime mosse da compiere, lasciando aperta la possibilità di un ritorno al tavolo con Israele. I nuovi negoziati in casa giordana sono ripresi dopo un anno di stop, anno durante il quale Abbas si è presentato alle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento della Palestina come Stato indipendente. E il nuovo congelamento preoccupa non poco la comunità internazionale, che sull’iniziativa all’Onu si era spaccata: in molti avevano duramente criticato l’AP per aver compiuto un atto unilaterale che metteva in serio rischio i negoziati con Israele.

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Ieri, dopo l’annuncio di Abbas, è intervenuta subito l’Unione Europea per bocca dell’Alto Rappresentante agli Affari Esteri, Catherine Ashton. L’inviato Ue, che ha in programma di incontrare separatamente in questi giorni sia il premier israeliano Netanyahu che il presidente palestinese Abu Mazen, ha commentato la decisione di Abbas: “Abbiamo bisogno di proseguire nel dialogo e aumentare il potenziale di tali incontri perché diventino veri negoziati”.

Negoziati che appaiono ancora una volta per quello che sono: un dialogo inutile su temi di relativa importanza. “Con l’escalation dell’attività coloniale a Gerusalemme e in Cisgiordania, – ha spiegato ieri Hanan Ashrawi, funzionario OLP – gli arresti arbitrari di parlamentari palestinesi, la continua annessione di terra e di risorse naturali e la deportazione di palestinesi, Israele sta vanificando tutti gli sforzi a riprendere i colloqui e a onorare i suoi obblighi di fronte al diritto internazionale”.

Proprio questi dovrebbero essere i temi sul tavolo dei negoziati. L’importanza della definizione dei confini nell’idea di una soluzione a due Stati è importante, ma distoglie l’attenzione da questioni certamente più cruciali. Perché la Palestina possa divenire uno Stato indipendente, non necessita solo di definire linee su una mappa, ma ha bisogno di far rispettare quel diritto internazionale costantemente violato dalla controparte israeliana.

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Fino a quando le colonie continueranno ad espandersi, l’AP non avrà il controllo di vie di comunicazione e risorse naturali, i prigionieri politici palestinesi continueranno ad affollare le carceri israeliane senza alcun processo, appare difficile parlare di negoziati. Questo dovrebbe mettere sul tavolo Abbas.

È difficile pensare a colloqui di pace seri, se soltanto nell’ultima settimana l’esercito israeliano ha arrestato ben quattro parlamentari palestinesi membri di Hamas, tra cui lo speaker del Parlamento. Aziz Dweik è stato arrestato la scorsa settimana ad un checkpoint per Ramallah e pochi giorni fa è stata emessa la sentenza: sei mesi di carcere in detenzione amministrativa, nessuna accusa e nessun processo.

Dietro le sbarre sono finiti nella scorsa settimana anche l’avvocato membro di Hamas Abul Jabbar Fuqaha e i due parlamentari del partito islamista, Khaled Abu Arfa e Mohammed Totah. Con loro, ha raggiunto quota 27 il numero di parlamentari palestinesi attualmente dietro le sbarre di una galera israeliana. Tutti arrestati dopo le elezioni del 2006, elezioni svoltesi democraticamente e con correttezza, controllate da supervisori internazionali (tra cui l’ex presidente USA, Jimmy Carter).

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