La guerra tra chiesa cattolica e Obama è un rischio per entrambi
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La guerra tra chiesa cattolica e Obama è un rischio per entrambi

Lo scontro potrebbe privare il presidente dei voti dei cattolici liberal. Ma Romney è un rischio enorme per gli ecclesiastici.

La guerra tra chiesa cattolica e Obama è un rischio per entrambi
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redazione Modifica articolo

30 Gennaio 2012 - 15.42


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Siamo entrati nei mesi cruciali per la rielezione di Obama ed è iniziato lo scontro più duro che si ricordi negli ultimi decenni tra la Casa Bianca e la chiesa cattolica. Lo scontro è attorno alle implicazioni della legge di riforma sanitaria, il maggiore successo legislativo del primo mandato di Obama, ed è il risultato della decisione dell’amministrazione Obama di negare agli enti cattolici (scuole, ospedali, enti caritatevoli, che devono offrire copertura sanitaria ai loro impiegati) alcune esenzioni dall’obbligo di offrire copertura anche per pratiche contrarie alla morale cattolica ufficiale (contraccezione e aborto su tutte).

Chi non conosce l’importanza e la storia della lotta per la libertà religiosa in America, per i cattolici e non solo, potrebbe ricondurre lo scontro in corso ad una manovra elettorale di Obama per spaccare la chiesa cattolica tra liberal e conservatori, oppure ad una manovra dei vescovi per allinearsi ai repubblicani in vista delle prossime elezioni. Ma le critiche a Obama per la decisione presa vengono ora anche, e in modo non rituale né sommesso, proprio da quei cattolici liberal che nel 2008 avevano esaltato non solo la sensibilità del candidato democratico verso le questioni religiose, ma anche il suo background nel cattolicesimo sociale del cardinale di Chicago Bernardin, l’inventore (oggi assai detestato, specie dai cattolici conservatori) dell’idea di un “common ground” tra diverse culture sui temi etici e sociali. Sia i gesuiti di America Magazine, sia gli intellettuali di Commonweal, sia i cattolici movimentisti di National Catholic Reporter chiedono a Obama di tornare sui propri passi e di trovare un modo per gli enti cattolici di mettere in atto la riforma sanitaria, senza obbligarli a dover violare questioni di coscienza che non sono tutte sullo stesso piano.

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Obama rischia di perdere gran parte di quel voto cattolico liberal che aveva raccolto nel 2008. La mossa dei vescovi di avvolgere la lotta contro l’amministrazione Obama sotto l’ombrello della “libertà religiosa” è geniale e rischiosa al tempo stesso. Geniale perché la storia della libertà religiosa è la storia dell’America, dai Padri Pellegrini in poi: l’idea di libertà che gli americani hanno deriva da quella storia, e oggi è diventata un’idea di libertà ormai più ideologica che teologica. Nulla di più adatto di una chiesa a tenere alto lo stendardo della libertà, affermando (rieccheggiando il famoso discorso di Kennedy di fronte ai pastori protestanti del Texas del settembre 1960) che oggi sono i diritti dei cattolici ad essere a rischio, domani potrebbero essere quelli di qualche altro gruppo religioso.

Ma avvolgere la lotta contro l’amministrazione Obama sotto l’ombrello della “libertà religiosa” è anche una mossa rischiosa. Consapevolmente o meno, i vescovi che chiedono per la chiesa più grande d’America di godere di diritti in quanto comunità religiosa particolare rendono manifesta la debolezza culturale di una chiesa tanto grande, quanto divisa lungo linee etniche, linguistiche, ideologiche, sociali, quanto isolata. È finita l’età d’oro, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, di un cattolicesimo perfettamente a suo agio con la cultura americana: la guerra fredda aveva cementato un consenso morale di fondo che oggi non esiste più, né dentro né fuori la chiesa. Quanto all’illusione che un presidente amico possa proteggere la chiesa e i suoi valori, rimane un passaggio storico fondamentale la lezione pagata a caro prezzo dagli evangelicals per le promesse mancate di Reagan, Bush padre e Bush figlio, eletti tra gli anni Ottanta e il primo decennio del Duemila in buona parte grazie al voto evangelical. Resta da vedere se i vescovi cattolici si ricordano di quella lezione. L’alternativa tra Obama e il mormone Romney potrebbe significare per i vescovi americani un ritorno ai margini: non solo della cultura americana mainstream, ma anche dell’establishment politico.

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