Siamo nella Striscia di Gaza ma tutto ricorda la Svizzera. Una distesa verde, alberata, con mucche e pecore che pascolano tranquille. Così appare agli occhi del visitatore il territorio orientale di Gaza, a ridosso del confine con Israele. E’ la parte fertile, coltivabile, della Striscia che, invece, scendendo verso la costa appare arida e sabbiosa. E’ un tesoro prezioso per l’economia povera di questo martoriato lembo di terra ma i palestinesi non vi hanno accesso.
Israele, dopo l’offensiva «Piombo fuso» (dicembre 2008-gennaio 2009, 1.400 palestinesi uccisi) ha dichiarato la fascia di territorio di Gaza che corre lungo il confine, fino a una ampiezza che arriva ad alcune centinaia di metri, una «buffer zone», una zona cuscinetto interdetta, nella quale è vietato entrare. Per centinaia di famiglie contadine palestinesi (in totale molte migliaia di persone) è diventato impossibile recarsi nei loro campi e le conseguenze economiche sono state gravissime. Chi un tempo riusciva a vivere dignitosamente con le coltivazioni, oggi sopravvive nella miseria.
Ma ci sono anche tanti che hanno pagato conseguenze ancora più gravi perché i militari israeliani che sorvegliano il confine non esitano, con sistemi automatizzati e con le loro armi di dotazione, ad aprire il fuoco su coloro che si addentrano nella zona «proibita». In questi anni si sono contati alcuni morti e numerosi feriti, anche bambini. E non manca chi ha pagato con la vita il solo fatto di avere una casa all’interno dela “buffer zone”. Come Naama Abu Said, madre di cinque figli, uccisa a casa sua dal fuoco aperto da una postazione israeliana distante alcune centinaia di metri.
A raccontarci la tragedia vissuta dalla famiglia Abu Said è la fotoreporter italiana Rosa Schiano – nel video che vi proponiano alla fine del testo nell’abitazione colpita – accanto a Nasser Abu Said, il marito di Naama, che, peraltro, lamenta anche l’aiuto insufficiente ricevuto sino ad oggi nel costruirsi una casa in un punto meno a rischio e che vive assieme ai figli in una tenda.
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