Commento soddisfatto del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, cautela dell’Amministrazione Obama, condanna senza mezzi termini di Israele. «Pare che Abu Mazen abbia abbandonato la via della pace per unirsi a Hamas». E’ stata immediata la reazione del premier israeliano Benyamin Netanyahu all’accordo raggiunto a Doha da Fatah e il movimento islamico Hamas. Accordo che vedrà i palestinesi annunciare il 18 febbraio al Cairo un governo di unità nazionale, con a capo il presidente dell’Anp Abu Mazen, incaricato di organizzare nei prossimi mesi elezioni legislative e presidenziali.
«La pace e Hamas non vanno assieme», ha tuonato Netanyahu lasciando intendere che Israele risponderà alla formazione di un governo palestinese con al suo interno esponenti di Hamas. Si prevede il boicottaggio israeliano del futuro esecutivo e un nuovo blocco dei fondi palestinesi, decine di milioni di dollari ogni mese, in dazi doganali e tasse che lo Stato ebraico raccoglie per conto dell’Autorità nazionale palestinese, sulla base degli accordi di Oslo.
In casa palestinese però nessuno ieri aveva voglia di dare peso alle minacce, neanche tanto velate, di un premier israeliano che non ha fatto nulla per avviare un negoziato vero e per accogliere l’unica condizione posta dall’Anp: lo stop alla colonizzazione (previsto anche dalla Road Map). L’atmosfera era euforica tra la gente e i dirigenti dei principali partiti, anche se la cautela in questo caso è d’obbligo. Lo scorso 4 maggio Fatah e Hamas avevano firmato un accordo definito «storico» che poi non ha mai avuto realizzazione.
Stavolta però la riconciliazione tra Fatah e Hamas appare davvero concreta perchè è stato superato lo scoglio della nomina del primo ministro. Abu Mazen, avrebbe voluto riconfermare Salam Fayyad, punto di riferimento dei donatori occidentali dell’Anp. Hamas chiedeva la nomina di un esponente della Striscia di Gaza, territorio che controlla dal 2007, in seguito alla frattura lacerante con Fatah sfociata in combattimenti violenti costati la vita ad almeno 150 persone. La soluzione di Abu Mazen premier ad interim, fino alle elezioni, è apparsa la più praticabile per superare le differenze tra le due principali forze politiche palestinesi.
«L’annuncio finale della formazione del nuovo governo guidato da Abu Mazen avrà luogo il 18 febbraio al Cairo in occasione di una riunione dell’Olp», ha spiegato Azzam al Ahmad, della delegazione di Fatah, raggiunto telefonicamente dalla Afp a Doha, dove Abu Mazen ha firmato l’accordo con il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal. «Tutti i movimenti palestinesi», vi parteciperanno, ha precisato Ahmad. La data delle elezioni presidenziali e legislative verrà fissata in seguito.
Restano tuttavia diversi interrogativi. In primis, le elezioni che le due parti vorrebbero tenere a maggio: è improbabile che il tempo residuo sia sufficiente dopo cinque anni di separazione fisica e politica fra Cisgiordania e Gaza. Certo, qualche giorno fa, ha riaperto a Gaza city, l’ufficio della Commissione elettorale centrale, ma la riorganizzazione del lavoro è ancora ferma. Poi c’è la spinosa questione della riforma dell’Olp, chiesta da Hamas per potervi aderire. Quindi il controllo delle forze di sicurezza del movimento islamico.
L’accordo comunque è frutto soprattutto delle scelte di Meshaal. Il leader (uscente) del movimento islamico – fautore di una linea pragmatica, più politica e meno militare, sganciata da Siria e Iran e vicina al Qatar, alla Turchia e all’Egitto – ha accettato l’idea di Abu Mazen premier per due motivi. Ritiene che il presidente palestinese, con la sua presenza, riuscirà ad evitare il boicottaggio occidentale del nuovo governo di unità nazionale. Inoltre vuole andare al voto entro l’anno perchè è convinto che Hamas bisserà nei Territori occupati il successo elettorale del 2006. In effetti gli islamisti palestinesi – spinti anche dal vento della primavera araba che in vari paesi ha portato al potere i Fratelli musulmani – sono popolari anche nella Cisgiordania governata (in parte) dal partito rivale Fatah. Ieri gli stessi servizi di sicurezza israeliani hanno «avvertito» che Hamas ha ricostituito solide basi in Cisgiordania.
Tuttavia le scelte di Meshaal non vengono condivise da tutti in Hamas e il leader potrebbe incontrare non pochi ostacoli nell’ufficio politico (15 membri) e nel consiglio della shura (55 membri) dove l’ala militare, contraria alla trasformazione in senso politico del movimento, vanta l’appoggio di alti dirigenti come Mahmud Zahar (uno dei fondatori di Hamas), Imad Alami (rientrato ieri a Gaza da Damasco) e Khalil el-Haya. Citato dalla tv saudita al Arabiya un (anonimo) dirigente di Hamas ha addirittura ipotizzato una scissione all’interno del movimento. «Ci sono capi delle Brigate al-Qassam – ha spiegato – che minacciano di lasciare Hamas non riconoscendo come legittimo l’accordo firmato in Qatar con Abu Mazen».