Khader Adnan avrebbe accettato di mettere fine allo sciopero della fame che ha attuato per 66 giorni. Il condizionale è d’obbligo perché i contorni della soluzione raggiunta questa mattina rimangono vaghi. I media locali parlano di un’intesa tra le autorità israeliane ed i legali del prigioniero politico palestinese condannato, dai giudici militari, a quattro mesi di «detenzione amministrativa» (senza processo e solo sulla base di indizi). L’intesa, aggiungono, dovrà essere sottoposta alla Corte Suprema israeliana, per l’approvazione, forse già questa sera. Adnan nel frattempo resterà ricoverato nell’ospedale Ziv di Safed (Galilea), viste le sue precarie condizioni di salute.
Queste notizie tuttavia non hanno trovato una piena conferma, almeno sino a questo momento, e diversi attivisti palestinesi, tra i tanti che si sono mobilitati a sostegno della battaglia di Khader Adnan, dicono, anche via Twitter e Facebook, che i termini della vicenda vanno ancira chiariti. Anche perché, secondo il quotidiano Haaretz, la scarcerazione, il prossimo 17 aprile, del detenuto palestinese avverrà solo se nelle prossime settimane non sopraggiungeranno elementi nuovi a suo carico.
E’ una conclusione in agrodolce, con un compromesso che soddisfa solo in minima parte le richieste di Adnan e dei suoi sostenitori in Palestina e all’estero. In ogni caso è servita ad alzare il velo sulla detenzione amministrativa. Originariamente basata sui Regolamenti di emergenza del mandato britannico del 1945, questa misura «cautelare» è stata ripresa nel 1970 dall’Ordine militare 1651 ed è entrata ufficialmente nell’ordinamento israeliano nel 1979. Alla sua scadenza la carcerazione può essere prolungata più volte dai giudici militari, sempre e soltanto sulla base di indizi e sospetti e non di prove concrete. Attualmente sono 310 i prigionieri palestinesi condannati senza processo, 18 dei quali membri del Consiglio legislativo palestinese.