Il dramma dei palestinesi cacciati dalla Valle del Giordano
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Il dramma dei palestinesi cacciati dalla Valle del Giordano

Dal 1948 ad oggi il 70% della popolazione palestinese è stata trasferita a forza. Le politiche israeliane di confisca di terre e risorse idriche non si sono mai arrestate.

Il dramma dei palestinesi cacciati dalla Valle del Giordano
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1 Marzo 2012 - 11.38


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di Marta Fortunato

Migliaia di palestinesi che vivono nella Valle del Giordano rischiano il trasferimento forzato a causa delle politiche che Israele attua nell’area. A lanciare l’allarme è il recente rapporto pubblicato a febbraio 2012 dall’Ufficio Onu per il coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha). E le cifre parlano da sole: nel 2011 le autorità israeliane hanno demolito 200 strutture di proprietà palestinese e ciò ha provocato il trasferimento di 430 palestinesi ed ha avuto un impatto negativo su altre 1200 persone. Almeno 3400 palestinesi vivono in zone militari parzialmente o totalmente chiuse ed è molto probabile che presto rischino di essere trasferite. Il consumo di acqua in molte comunità di pastori della Valle del Giordano è pari a 20 litri pro capite al giorno. Un colono, che vive poche centinaia di metri più lontano, ne consuma 300. Un insieme di fattori che lasciano poche speranze per il futuro delle comunità palestinesi della Valle del Giordano.

“Posso definire quello che è in corso ora come una continuazione della Nakba” ha spiegato Amjad Mitri, consulente legale dell’organizzazione palestinese Badil – dal 1948, quando sono stati espulsi più di 750.000 palestinesi, ad oggi, il trasferimento forzato della popolazione non si è mai fermato”. E al momento le zone maggiormente interessate sono Gerusalemme Est e l’area C. “L’intero sistema della politica israeliana mira al trasferimento della popolazione” ha continuato Amjad – e l’area C, poco abitata e ricca di terre agricole, è nel mirino delle autorità israeliane. E’ in corso una vera e propria pulizia etnica, Israele sta spingendo i palestinesi dall’area C alle aree A e B”.

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I risultati di questa politica sono ben visibili nella Valle del Giordano: quest’area, che costituisce quasi il 30% della Cisgiordania, si trova per l’87% in area C, sotto il totale controllo israeliano. Il 94% della Valle del Giordano è inaccessibile ai palestinesi: le colonie israeliane, con una popolazione che non raggiunge le 9.000 persone, occupano il 50% dell’area ed il restante 44% è stato dichiarato zona militare chiusa. I palestinesi sono costretti ad accontentarsi del rimanente 6%. E se prima del 1967 ci vivevano più di 300.000 palestinesi, ora ne sono rimasti meno di 60.000, di cui solo un quarto vive in area C.

“Non abbiamo acqua, non abbiamo elettricità, subiamo continui attacchi da parte dei coloni israeliani, la mia casa è stata distrutta dall’esercito, come facciamo a sopravvivere qui?” si chiede Mohammad, residente nella piccola comunità beduina di Ein al-Hilwah, nella Valle del Giordano settentrionale – moltissimi se ne sono andati, si sono trasferiti a Tubas, in area A, io ho scelto di rimanere qui perchè questa è la mia terra ma non so cosa ne sarà dei miei figli”.

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Quello che sta avvenendo nella Valle del Giordano non è diverso dalle politiche israeliane attuate nel Negev o a Gerusalemme Est. “Lo scopo primario di Israele è quello di trasferire la popolazione palestinese per creare una maggioranza ebraica: le tecniche sono diverse, si va dall’espansione delle colonie alle confisca di acqua e terra, dalla revoca dei diritti di residenza alla costruzione del muro di annessione” ha continuato Amjad – E pian piano l’area C si sta svuotando. “Ora la popolazione si trova confinata nell’area A, che rappresenta solo il 15% della Cisgiordania. E anche in area A la popolazione è a rischio trasferimento forzato: la situazione sta diventando insostenibile, non c’è più spazio per costruire e le città sono troppo affollate”.

E il trasferimento forzato comporta anche un’incredibile perdita del patrimonio culturale del popolo palestinese. Costringere un contadino a spostarsi in un contesto cittadino significa spingerlo a cambiare il proprio stile di vita, obbligarlo a modificare le proprie abitudini che fanno parte di un’eredità culturale che non potrà che andar perduta. “Israele ci sta privando del nostro stesso patrimonio culturale” ha concluso Amjad – e se guardiamo la situazione da un punto di vista storico il sistema che Israele ha iniziato nel 1948 sta funzionando con successo: il 70% del popolo palestinese è stata trasferita. Ci vorranno pochi anni per mandare via il rimanente 30%”.

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