La notizia, drammatica, è di poche ore fa: Amina aveva sedici anni; ha dovuto sposare il suo violentatore per decisione del tribunale e in ossequio alla legge vigente in Marocco, che ritiene lo sposare la vittima una condanna per il violentatore, un modo saggio per salvare l’onore di tutti e evitare il carcere a un maschio. Dunque Amina e il suo stupratore un anno fa si sono sposati, lei era quindicenne: per un anno ha seguitato ad essere abusata, insultata, picchiata… E ieri si è suicidata.
Le donne del Marocco hanno organizzato a Rabat e in numerose altre cità cortei di protesta contro quella che giustamente definiscono una legge-scandalo, frutto del peggior tradizionalismo. Per fortuna hanno sentito il dovere di difendere la memoria di Amina anche i genitori, che le prime notizie dicevano avessero abbandonato la ragazza al suo destino. Non è vero, ha protestato il padre, io avevo rifiutato quel matrimonio-riparatore e so che lui ha seguitato a usarle violenza, che la picchiava e le negava il cibo. Anche la madre ha espresso pubblicamente concetti simili.
Ma la vera notizia riguarda la reazione del governo. La ministra portavoce dell’esecutivo del Marocco ha detto che il governo vuole aprire un ampio confronto sociale per giungere alla modifica delle leggi che definiscono la condizione della donna e che questa disposizione in particolare va cambiata. Peccato però che il ministro dell’interno l’abbia smentita a stretto giro di posta, dicendo che Amina non veniva violentata, lei aveva con il marito normali rapporti coniugali. La ministra portavoce, dopo un’affermazione del genere da parte del ministro dell’interno, cosa farà?