La guerra fra forze fedeli al presidente Assad e membri dell’«Esercito libero siriano» (Esl), «gruppi terroristi» per il regime, è arrivata a Damasco, finora relativamente risparmiata dalle violenze. Venerdì un doppio attentato kamikaze con almeno 27 morti, ieri mattina prima dell’alba lunghi e pesanti scontri a fuoco nella capitale, nel quartiere residenziale di Mezze, con due o tre «terrosti» e un governativo uccisi, per il governo, 86 morti per l’opposizione.
Proprio nel giorno in cui sono giunte a Damasco due diverse missioni internazionali con l’obiettivo di arrivare a una soluzione politica. Una missione politica, composta da 5 emissari di Kofi Annan, inviato speciale Onu-Lega araba, e una missione umanitaria del Consiglio Onu per i diritti umani e dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci). Entrambe cercheranno di valutare la possibilità di stabilire una tregua e portare soccorsi alle regioni più colpite dalla rivolta e dalla repressione.
Una situazione umanitaria «che molto probabilmente è destinata a peggiorare», secondo il presidente della Croce rossa internazionale, Joseph Kellenberger, giunto ieri a Mosca per incontrare il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, e chiedergli di intercedere con Assad per prendere «misure urgenti» in favore dei civili, fra le quali una tregua quotidiana di due ore accettata da entrambe le parti per consentire di portare aiuti medici ed evacuare i feriti (il responsabile della Cri dice di aver avuto «indicazioni positive» da Lavrov). Il numero dei morti tende a salire giorno dopo giorno, anche se è difficile verificare le cifre che da una parte e dall’altra vengono sparate come armi di propaganda.
Ieri fonti dell’opposizione parlavano di 11.500 civili uccisi (fino a un paio di giorni prima erano 10.000 e l’Onu stimava fossero 8000), mentre il governo si attiene ai 2000 fra soldati e forze di sicurezza uccisi dai «gruppi terroristi». In altre parti del paese le truppe governative sembrano aver ripreso il controllo di città prima nelle mani degli insorti: dopo Homs, Hama e Idlib, ieri sotto attacco è finita l’ultima roccaforte dei ribelli, Dayr az Zor, capoluogo della regione orientale. Gli attivisti anti-regime dei Comitati di coordinamento locali (la branca interna del Consiglio nazionale siriano) riferiscono di 26 morti in varie regioni, mentre l’agenzia ufficiale Sana ribatte con 13 civili uccisi da «terroristi» nella regione di Homs. Domenica un’esplosione – «attentato terroristico» per il regime – ad Aleppo ha ucciso due persone e ha danneggiato un convento francescano.
Nella guerra a colpi (anche) di propaganda, la tv di Stato, ha mandato in onda ieri sera le confessioni di due «terroristi», Walid Shuqeiri e Yaman Azizi, che hanno affermato (per quello che vale) di aver agito in cambio di denaro, operando nell’area di Sayida Zeinab, sobborgo di Damasco dove si trova un importante mausoleo sciita, sparando contro manifestanti e forze di sicurezza, filmando e inviando i video ai canali satellitari al Jazeera e al Arabiya. I «terroristi» hanno dichiarato che «l’attentatore suicida» dell’attacco contro una caserma governativa il 22 dicembre scorso a Damasco apparteneva «al gruppo di Abu Bilal di Hajar Aswad». Hajar Aswad è un sobborgo povero della capitale, teatro di manifestazioni anti-regime, dove predica lo sceicco sunnita Adnan Ibrahim, noto come Abu Bilal, mortale nemico del regime alawita di Assad.
A livello diplomatico, visto che per ora almeno, un’operazione «umanitaria» tipo Libia è esclusa sia dai principali paesi occidentali sia dalla Nato, in Consiglio di sicurezza si sta lavorando a una risoluzione di appoggio alla difficilissima missione di Annan (contro cui sono in molti a gufare).
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