Summit arabo a Baghdad dopo 20 anni
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Summit arabo a Baghdad dopo 20 anni

Per la prima volta dopo l'era Saddam un summit arabo torna a tenersi a Baghdad. Il paese boccheggia, ma spende un milione di dollari per gli addobbi floreali.

Summit arabo a Baghdad dopo 20 anni
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26 Marzo 2012 - 14.18


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Il grande arco costruito con due enormi spade accoglieva i delegati arabi nella Baghdad di Saddam. Sono passati venti anni. E quell’Iraq non c’è più. Il suo leader, quello che faceva assassinare i moderati intorno ad Arafat ai tempi della sfida kuwaitiana, ha portato al disastro la linea del fronte del rifiuto, quello che non voleva trattare la pace. La sua eredità oggi può essere calcolata nelle riparazioni che l’Iraq deve pagare a mezzo mondo, dal Kuwait ai lavori egiziani fuggiti dal paese ai tempi della II guerra del Golfo.
Non a caso una strana ironia della storia riporta Baghdad al centro della storia araba proprio per il primo summit senza la Siria, l’altro alfiere del fronte del rifiuto (nel caso siriano il rifiuto era un po’ diverso, Damasco negava agli altri il diritto a trattare, lei invece poteva), ora sospesa dall’organizzazione araba, prima volta nella storia, per la feroce repressione in atto da un anno. E certamente il dramma siriano sarà al centro dei lavori del summit.

Ma Baghdad ha voltato pagina? O è ancora la fotografia delle malattie arabe? Le preoccupanti perfomance del primo ministro filo-iraniano al-Maliki ci dicono che la guerra di George W.Bush si è risolta in un rafforzamento dell’Iran, e il milione di dollari che Maliki ha voluto spendere per gli addobbi floreali con cui imbellire Baghdad in occasione del summit non addolciscono la pillola.
Al di là della linea verde e dei suoi hotel di lusso i kamikaze continuano a seminare quotidianamente la morte, e proprio a questo Maliki si è aggrappato per fare gli interessi di Teheran e accusare il leader eletto della minoranza sunnita di avere le mani in pasto con bande armate e terrorismo. Così la piaga del comunitarismo rimane acuta nella divisione tra sunniti, sciiti e curdi, aggravata dall’uso strumentale dell’appartenenza a fini di egemonia politica. Un anno dopo l’uscita di scena dell’ultimo soldato americano dall’Iraq gli indicatori politici sono tutti in rosso fisso per le follie bushane.

Lo dicono anche i sospetti sugli aerei carichi di armi che sarebbero partiti da Baghdad alla volta di Damasco: la Baghdad di Maliki oggi è senza Saddam per l’intervento americano, ma il prodotto politico del tanto sangue versato è il suo “inserimento” nell’asse guidato da Tehran. Bel risultato.
Il ritorno a Baghdad, la capitale del vecchio impero abbaside, dice però una cosa: bisogna ripartire da lì, dalle scelte universaliste dell’epoca abbaside, per fronteggiare le sfide, per curarle. Le “scorciatoie del militarismo arabo”,proprio come quelle opposte bushane, sono biecamente strumentali e provocano danni che non fanno altro che aggravare le piaghe che intendono curare.

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