Che le donne abbiano avuto e continuino ad avere un ruolo fondamentale nelle rivolte/rivoluzioni arabe è verissimo e lo si deduce dalle rivendicazioni di genere portate avanti a volte anche con successo, vedi la Tunisia. Ma sostenere che il protagonismo di tali rivolte sia il cosiddetto “femminismo islamico” (basato sulla religione e portato avanti indossando il velo) è falso.
Mi riferisco alla recensione di Danilo Zolo al libro di Renata Pepicelli (Il velo nell’islam….) pubblicato da il Manifesto (07/04/2012). Non voglio entrare nel merito della questione del velo su cui ho già scritto un libro (Il prezzo del velo), ma parlare del ruolo delle donne arabe in questa fase della loro storia.
Chi ha creduto nel ruolo rivoluzionario o identitario del velo ha pagato un prezzo altissimo. Sono le donne iraniane che con la caduta dello scià avevano sottovalutato l’imposizione del velo da parte dell’ayatollah Khomeini rientrato da Parigi. Molte di loro me l’hanno ripetuto in questi anni: “mettere il ciador era per noi una novità e non pensavamo di non potercelo più togliere, eppure le nostre madri ci avevano avvisate del pericolo degli islamisti”. Era il 1979 e ancora oggi le donne iraniane finiscono in carcere se non portano il velo in modo regolamentare.
Le donne arabe non ignorano questa esperienza, soprattutto quelle che sono state protagoniste della rivolta, che non ha escluso donne velate, ma che non hanno certo fatto del velo una loro rivendicazione contro la laicità, spesso di facciata, dei regimi passati. Anzi. La rivendicazione è l’uguaglianza di genere che non è certamente quella sostenuta dalle donne dei movimenti islamisti. Lo scontro è in atto: in Tunisia l’università di Manouba è stata bloccata da un gruppo di salafiti. Motivo: c’erano studentesse che volevano sostenere gli esami con il niqab (velo integrale) ma il direttivo dell’università lo ha impedito per l’evidente impossibilità di riconoscere la candidata agli esami. Il braccio di ferro continua. Ma è stata una giovane donna a impedire che un grosso barbuto salafita sostituisse la bandiera nazionale esposta all’università con quella nera con la scritta “Dio è grande”.
Rivendicare il velo – per di più il niqab che non appartiene alla tradizione maghrebina e che era portato solo nel Golfo – come simbolo di identità è un’aberrazione. Tanto più che le tradizioni si superano altrimenti non solo anche noi saremo tutte con il fazzoletto in testa, ma altre orribili tradizioni non sarebbero mai state abolite, come la pena di morte o, per restare a pene più applicate nei confronti delle donne, la lapidazione.
Sono appena tornata dall’Afghanistan, e se avessi detto che qualcuno in occidente osa sostenere il diritto di portare il velo, qualsiasi esso sia persino il burqa, sarebbero inorridite. Il velo integrale, il burqa, annulla le donne, vietarlo serve a proteggere la loro dignità. Quindi vietarlo è giusto, sarebbe razzista il contrario, perché vorrebbe dire che noi consideriamo queste donne delle inferiori. Non è così, a volte ci hanno precedute nelle conquiste politiche e sociali. In Tunisia la legge elettorale prevede la candidatura del 50 per cento per genere e nelle liste sono alternati un uomo e una donna. Quando ci arriveremo in Italia?