Il primo ministro Salam Fayyad come ospite d’onore. Tante bandiere palestinesi, ma di palestinesi non se ne vedono tanti. Un paio di centinaia, affiancati da altrettanti giornalisti e attivisti stranieri. Il comitato organizzativo della Conferenza Internazionale per la Resistenza Popolare di Bil’in ancora il giorno prima si aspettava dai 500 ai 1000 partecipanti.
Si apre con la commemorazione dei martiri, uccisi durante le manifestazione pacifiche del venerdì, diventate un appuntamento fisso in tanti dei villaggi palestinesi maggiormente colpiti dall’esproprio delle terre per la costruzione delle colonie e del muro. Primo fra tutti, campeggia su diversi poster l’immagine di Bassem Abu Rahme,colpito a morte da un candelotto di gas lacrimogeno il 17.04.2009 proprio a Bil’in. Qui, la resistenza popolare ha registrato il suo primo successo concreto: nel settembre 2007, una decisione della Corte Suprema israeliana dichiara illegale il percorso del Muro di Separazione, restituendo al villaggio 100 ettari di terra, confiscata tre anni prima. Che ciò significhi allo stesso tempo una “legittimazione” del resto del percorso del Muro, pur sempre costruito all’interno della Cisigiordania e non sulla Linea Verde, è passato in secondo piano. Bil’in è considerato un esempio positivo, da seguire.
I primi interventi sottolineano l’importanza del sumud (“determinazione a restare”) palestinese, della resistenza popolare e del movimento di solidarietá internazionale. Poi è la volta del Primo ministro. Salam Fayyad esordisce con un elogio all’importante ruolo della donna nella resistenza. E continua dichiarando la necessità di far fronte alla violenza israeliana, mantenendo la forza morale del popolo palestinese per protegger la propria terra. Obiettivo: l’istituzione di uno Stato indipendente palestinese sulle frontiere del ’67 con Gerusalemme Est come capitale. La via da percorrere sarebbe quella della “resistenza popolare pacifica”. Appoggiata dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), di cui lui è a capo.
Strategia dell’Anp
Nel 2009, alla sua sesta conferenza annulale, il partito Fatah aveva ribadito che la resistenza contro l’occupazione “è un diritto secondo il diritto internazionale”. E aveva lanciato una nuova strategia per supportare la “resistenza popolare pacifica”. Il Ministero palestinese per le Colonie ed il Muro ha poi assunto nuovi impiegati e stanziato fondi per la coordinazione della attività insieme ai comitati popolari locali, che, prima indipendenti, sono diventati parte del Comitato generale di Coordinamento. A suo capo c`è Abdallah Abu Rahma, ex-coordinatore del comitato popolare di Bil’in.
“La presenza di Salam Fayyad è importante come rappresentanza ufficiale del comitato di coordinamento” dichiara a Nena News Mahmoud Zawahre, coordinatore del comitato popolare del villaggio di Al Masara. “Un patrocinio ufficiale è necessario, ma sottolineo che quest’oggi i partiti rappresentati erano tutti: da Fatah ad Hamas passando dai partiti di sinistra” precisa Zawahre.
Dissenso all’interno del movimento di resistenza.
Certo, l’utilizzo del termine “pacifico” come aggettivo della resistenza popolare ha dato molta visibilità internazionale al movimento. E i fondi europei – soprattutto parte del progetto euromediterraneao “Partnership for Peace” – per le attività dei comitati sono copiosi.
Il fatto che alcuni dei coordinatori dei comitati popolari locali – tra loro secondo fonti ufficiose quello di Beit Ummar, Yatta, Bil’in e Al Masara – siano stati propriamente assunti dall’Autorità Palestinese sa – per alcuni – di cooptazione.
“Fayyad è responsabile dello spaccamento interno al movimento di resistenza popolare, che da movimento di base è diventato parte della politica ufficiale dell’Autorità “ – dichiara a Nena News un attivista alla conferenza di Bil’in, chiedendo l’anonimato.
In diversi villaggi, lo spaccamento è visibile, e chi non era d’accordo con quella che è percepita come un’intrusione della Autorità si è distaccato, creando un comitato indipendente. La presenza di un paio di centinaia di palestinesi a quella che dovrebbe essere il fulcro del coordinamento della resistenza popolare dà misura dei limiti del movimento nel diventare davvero di massa. L’impressione è che la maggior parte non sia per forza contro una cooperazione con l’Autorità, ma contro l’idea che questa sia parte costitutiva del movimento stesso. E non c`é consenso sulla necessità di piegarsi al dettato della resistenza popolare come “resistenza pacifica”.
“Il popolo palestinese è un popolo che per decenni ha resistito con metodi pacifici” dichiara a Nena News Fathi Khidrat del comitato popolare della Valle del Giordano – “ma la resistenza pacifica è solo uno dei metodi e non abbiamo bisogno di lezioni da nessuno su come resistere. Tantomeno dagli Stati europei, che sono ai nostri occhi prima di tutto coadiuvanti dell’Occupazione ”.
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