Tutti quanti trattano l’Algeria come un paese stabile, in cui una protesta generalizzata non ha fatto breccia. Invece l’Algeria è un paese in cui vige uno Stato di polizia, in cui giornalmente vengono violati i diritti delle persone, in cui c’è una corruzione dilagante e in cui ogni giorno c’è una qualche protesta che finisce male.
Da gennaio ho intitolato “Algeria a bassa intensità” tutte le notizie provenienti dall’Algeria che ci raccontano una protesta. L’elenco, ampiamente deficitario, registra 63 eventi. Proteste per l’acqua, per la casa, immolazioni, proteste di universitari, di avvocati, di professionisti, di quartieri, contro la disoccupazione, e così via. C’è un movimento per l’astensione alle elezioni, ma nessuno ne parla.
Però c’è chi dice che l’Algeria è un posto dove investire, tutti quanti puntano sul regime, che sta organizzando elezioni-farsa tramite le quali saranno fatti entrare nel gioco alcuni esponenti dell’islam politico. Giusto per dare la sensazione che tutto scorre per il verso giusto.
L’Algeria è il caso più eclatante di negazione di una realtà nei media. Nessuno parla di “primavera algerina”. L’Algeria è solo “counter-terrorism” e “energia”. E “dialogo” con il “nuovo” Marocco, con la “nuova” Tunisia, con la “nuova” Libia.
Neanche la protesta in Bahrain riceve meno attenzione.