Medici Senza Frontiere è stata costretta ad interrompere le attività mediche nello Jebel Si, lo stato del Darfur del nord del Sudan. Crescono, infatti, le limitazioni imposte dalle autorità sudanesi. “Con la riduzione delle nostre attività in Jebel Si, oltre 100.000 persone nella regione sono rimaste senza assistenza sanitaria“, dice Alberto Cristina, responsabile delle attività di Msf.
L’invio di farmaci e di forniture mediche non è più stato autorizzato dal settembre 2001, e anche i permessi di lavoro e di viaggio degli operatori dell’organizzazione sanitaria sono sempre più difficili.In questo modo non si riescono nemmeno a garantire le visite mediche e di ricoverare i pazienti, col rischio di interrompere anche le vaccinazioni che possono salvare la vita di molte persone.
Sono oltre 100mila, dunque, gli assistiti rimasti senza copertura sanitaria. E non possono essere effettuati parti cesarei. L’unica soluzione rimane quella di trasportare i pazienti nell’ospedale di El Fasher, a circa otto ore di auto dalla zona. “Se non ci viene permesso di garantire l’approvvigionamento di farmaci e forniture mediche al nostro ospedale e ai piccoli centri sanitari, presto potrebbero scoppiare epidemie e aumentare i decessi di madri e neonati durante il parto, rischiando di raggiungere livelli di emergenza“, spiega Cristina.
“L’organizzazione è pronta a riprendere le attività non appena verranno tolte le limitazioni al suo lavoro – continua il responsabile dell’organizzazione -. Quando le forniture mediche, le apparecchiature logistiche e il personale internazionale saranno di nuovo in grado di raggiungere la regione, le équipe mediche di Msf potranno ricominciare a fornire cure mediche salvavita alle persone che vivono nello Jebel Si”.