Il VatiLeaks e la riforma fallita della Chiesa
Top

Il VatiLeaks e la riforma fallita della Chiesa

Non c'è soltanto una lettura contingente della crisi vaticana. La vicenda dimostra che la Curia non riesce ad essere lo strumento di governo di una Chiesa planetaria.

Il VatiLeaks e la riforma fallita della Chiesa
Preroll

Desk Modifica articolo

29 Maggio 2012 - 10.30


ATF
di Massimo Faggioli

Non è stata ancora pubblicata una vera “storia della Curia romana”: ma quando essa verrà scritta, la gestione Ratzinger-Bertone ricoprirà probabilmente un capitolo a parte. Gli storici della chiesa scherzavano, fino a poco tempo fa, dicendo che nella vicenda della chiesa contemporanea il Segretario di Stato di Benedetto XVI era soltanto una nota a piè di pagina. Le cose sono andate peggio del previsto.

Il pubblico atto d’accusa del cardinale Ratzinger, il discorso sulla “sporcizia nella chiesa” proclamato poche ore prima dell’elezione al pontificato, si ritorce contro Benedetto XVI. Il regno di papa Ratzinger trova il suo nadir in uno scandalo che costringe il portavoce della S. Sede a smentire che ci siano cardinali indagati per la fuga di notizie. Sono passati i tempi in cui ci si indignava per la “chiamata” a Roma di cardinali italiani e americani a rischio di arresto da parte di giurisdizioni di altri Stati: il cardinalato come pars corporis papae, parte del corpo del papa, funzionava allora come scudo per i collaboratori del papa. Oggi sembra diventato invece ragione di sospetto.

Leggi anche:  Giubileo: risveglio spirituale e civile per costruire armonia e rigenerare il senso della comunità

Di fronte alla crisi attuale, senza precedenti nella storia del pontificato contemporaneo, ci sono diverse possibili letture, tra cui quella moralista (le bassezze umane) e quella spirituale (lo scandalo come prova). Ma è necessario anche inquadrare questo momento all’interno dei tentativi, nel corso degli ultimi cinquant’anni, di riformare la Curia romana e il ministero papale nella chiesa. Al concilio Vaticano II, di cui quest’anno la chiesa celebra il cinquantesimo dell’apertura, molti vescovi proposero una riforma della Curia romana, a partire dal celebre discorso del novembre 1963 del cardinale di Colonia, Frings, allora coadiuvato dal giovane teologo conciliare Joseph Ratzinger. Dopo quel discorso vennero formulate altre proposte: la più elaborata suggeriva la creazione di un “consiglio centrale dei vescovi” che affiancasse il papa, ma al di sopra della Curia romana, per il governo della Curia e della chiesa universale. Paolo VI non si fidò della proposta e alcuni solerti collaboratori della Curia lo aiutarono ad anticipare e prevenire la discussione della questione in concilio con l’annuncio, nel settembre 1965, del nuovo “Sinodo dei Vescovi”, assemblea senza veri poteri e dal ruolo largamente cerimoniale e celebrativo. Dopo la fine del concilio Paolo VI procedette ad una riforma della Curia romana che si limitò a tre innovazioni: l’aggiunta dei “Pontifici Consigli” alla vecchia struttura della Curia, creata dal concilio di Trento a fine del secolo XVI; l’internazionalizzazione del personale di Curia; una concentrazione dei poteri nel Segretario di Stato, una sorta di “primo ministro del papa”.

Leggi anche:  Giubileo: risveglio spirituale e civile per costruire armonia e rigenerare il senso della comunità

Questa nuova configurazione della Curia romana ha retto fino a quando le elite dirigenti di essa erano figlie di una generazione di ecclesiastici consci del proprio ruolo e dei delicati equilibri della macchina curiale e della dimensione globale della chiesa. Tra Paolo VI e Giovanni Paolo II questa vecchia generazione ha lasciato gradualmente il posto ad un personale di tipo diverso: nel migliore dei casi ci sono gli ecclesiastici-teologi, con un alto senso della missione pastorale del servizio in Curia romana ma con scarsa o nessuna esperienza politica e diplomatica; in altri casi, si hanno ecclesiastici-ideologi, che portano a Roma un’agenda politica che nasce altrove (nei loro paesi di provenienza, come gli Stati Uniti o la Spagna) e che non trova ragion d’essere in una Curia romana pensata in un’epoca precedente alle ideologie e alla politica nella società di massa; in alcuni casi, infine, ci sono gli ecclesiastici di potere, che svolgono la loro funzione principalmente raccogliendo e distribuendo posti, prebende, onori e onorificenze, ignari dei meccanismi profondi di un mondo in cui talvolta neanche le buone azioni vengono perdonate. Colpa anche di una certa teologia liberal post-conciliare che si illudeva di poter abbattere le istituzioni ecclesiastiche, sembrano scomparsi, in questi decenni di post-concilio, gli ecclesiastici fieri di ricoprire una funzione curiale al servizio della chiesa mondiale: la cultura cattolica anti-curiale (ideologicamente e teologicamente trasversale) ha preceduto l’onda dell’anti-politica.

Leggi anche:  Giubileo: risveglio spirituale e civile per costruire armonia e rigenerare il senso della comunità

La Curia romana è, dal punto di vista teologico, un corpo estraneo e un male necessario: nata e cresciuta secoli dopo le origini cristiane, necessita oggi di una nuova legittimazione. Nell’anniversario del Vaticano II non sarebbe fuori luogo ripartire da alcune proposte avanzate dai padri conciliari.

Native

Articoli correlati