I panni sporchi dell’esercito turco si lavano su Facebook
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I panni sporchi dell’esercito turco si lavano su Facebook

I sottoufficiali rivendicano salari più alti e condizioni di lavoro migliori. “La discriminazione contro di noi deve finire”. Una frattura culturale. [Nicola Mirenzi]

I panni sporchi dell’esercito turco si lavano su Facebook
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10 Giugno 2012 - 14.41


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di Nicola Mirenzi

I panni sporchi non si lavano più in casa, nell’esercito turco: si espongono in bella vista sulle bacheche di Facebook e le timeline di Twitter, come fossero battibecchi tra adolescenti capricciosi. Nel secondo esercito più potente della Nato, l’esercito dentro il quale vigeva sino a pochi anni fa la più ferrea delle discipline, dove lo stile e l’eleganza e il decoro erano tutto, un altro tabù è stato infranto. I sottoufficiali delle forze armate, che si sentono malpagati e maltrattati, anziché far sentire la loro voce dentro il filo spinato delle caserme, hanno lanciato una protesta assai poco cameratesca sui social network, per chiedere un aumento del salario e condizioni di lavoro migliori. «La discriminazione contro di noi deve finire», spiegano.

Lamentano di essere esclusi dalla possibilità di diventare pubblici ministeri o giudici nelle corti militari anche quando sono laureati in legge. Così come mettono in discussione il divieto di usare le residenze militari alle stesse condizioni degli ufficiali più alti in grado. Piccole beghe? Nient’affatto. Perché è vero che si era capito da un pezzo che le cose non andavano più come una volta. Ma non fino a questo punto. Sembrava che tutto fosse già successo quando gli alti ufficiali – un tempo considerati padreterni intoccabili – hanno cominciato a finire in galera come criminali di periferia. E il fondo sembrava essere stato toccato nel momento in cui, passo dopo passo, strappo dopo strappo, il governo guidato da Recep Tayyip Erdogan ha allontanato dal centro delle decisioni i supremi capi militari. Invece no. Non era tutto. Era solo l’inizio.

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La campagna per l’aumento dello stipendio lanciata dai sottoufficiali sui social media mette in scena l’immagine di un esercito che non è solo attaccato dall’esterno (il governo) ma si sta sfilacciando al suo interno. Così, le forze armate – che combattono ogni giorno una guerra sanguinosa nel Sud-est del paese contro gli indipendentisti curdi del Pkk, che sono schierate con l’Allenza Atlantica in Afghanistan, che dovrebbero, come si vocifera da tempo, intervenire in Siria per creare una zona cuscinetto e frenare l’ondata di profughi che scappano dalla repressione – sono molto meno compatte di quanto appare a prima vista. Solo oggi si scopre che nell’esercito (che in una parte della psiche collettiva turca è ancora un sacro bastione della Repubblica, il luogo dove l’obbedienza ai superiori è tabù) c’è più di qualcuno che la fa fuori dal vaso.

Chiedono condizioni più umane: non solo più soldi. E su Facebook la loro pagina – “Sottoufficiali che dicono che quando è troppo è troppo” – conta 219mila fan. Mentre su Twitter la loro campagna è seguita dal 17mila persone. Numeri che hanno fatto impaurire il governo, il quale ha cercato di metter una pezza, facendo passare in parlamento una legge che concede un aumento e dà qualche altro contentino. Ma sono provvedimenti simbolici, incapaci di ricucire la ferita che si è aperta. Sia perché l’aumento concesso è risibile, sia perché la questione è più sottile di come appare a prima vista.

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Qualche mese fa sulle pagine dei quotidiani turchi campeggiava la storia – conosciuta da tutti, però indicibile – di come i ragazzi gay possono evitare di fare il servizio militare. Ossia dimostrando con un video e una prestazione sessuale vera e propria – davanti agli occhi degli scrutatori in divisa – di essere omosessuali (passivi). Una pratica raccapricciante e umiliante, che naturalmente inibiva moltissime persone dal portare le “prove” della propria “perversione”. Ma qualcosa è cambiato davvero se queste storie sono state raccontate e hanno scandalizzato, riuscendo a far riflettere sulla militarizzazione della mente pubblica turca. Così, quello che va in scena oggi non è un semplice affare di rivendicazioni sindacali. È il crepuscolo degli idoli in alta uniforme. La prova che la Turchia ha smesso di essere un paese sotto il tallone mentale dei militari.

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