di Francesca Marretta
L’arsenale chimico della Siria che sprofonda nella guerra civile è una bomba a orologeria. Se Israele è stato il primo Stato a lanciare l’allarme sulle conseguenze del caos siriano, tirando fuori dalla dispensa le maschere antigas, ora anche Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Giordania e Turchia lavorano a piani di emergenza per affrontare gli scenari più temibili. In Siria sono state accumulate molte più armi chimiche di quante ne avesse Gheddafi. Il vecchio regime libico aveva sottoscritto la Convenzione sulle armi chimiche del 1997 e accettato di smantellarle gradualmente. La Siria non ha mai aderito a tale Convenzione. Assad dispone di ingenti depositi di iprite e altri gas più moderni come il Sarin e il VX. Il Direttore del Centro James Martin per la Non-proliferazione di Washington, Leonard Spector, sostiene che gli scenari più probabili siano due. Primo Assad userà le armi chimiche contro ribelli e oppositori, inclusi civili. Una “shock and awe” autoprodotta, liberamente ispirata alla performance della guerra al terrorismo in Iraq. Assad dice del resto che le sue truppe (e le milizie che non nomina) non compiono massacri, ma combattono terroristi. Secondo scenario, gli insorti metteranno le mani su qualche deposito di armi chimiche (ne basta uno) per usarle nel confronto con l’esercito siriano, se Assad dovesse avere la meglio. A entrare in possesso di armi chimiche potrebbe essere anche il fronte sunnita più estremista, leggi al-Qaeda, o gli sciiti Hezbollah alleati del regime di Damasco.
Gli arsenali chimici siriani sono oggi protetti dalle forze speciali di Assad. I militari lealisti in Siria sono circa 70mila. L’opposizione conta 30mila combattenti. La capitolazione di un deposito di armi chimiche può cambiare tutta l’equazione. C’è un ulteriore scenario che non si può escludere. Se Assad o Hezbollah dovessero usare armi chimiche contro Israele, o se si verificasse un “incidente” di confine, sia sul Golan che sul versante libanese, la risposta dello Stato ebraico non si farebbe attendere. Tel Aviv ha già colpito installazioni nucleari in Siria nel 2007. Il casus belli basterebbe a giustificare un attacco israeliano all’Iran, considerato il deus ex machina della forza militare di Assad. Col vantaggio per Israele che il dito sarebbe puntato prima di tutto contro il vicino siriano. La condanna contro la macchina da guerra israeliana sarebbe unanime nella Regione. Ma nei corridoi della diplomazia sotterranea sarebbero tutte pacche sulle spalle tra gli alleati arabi degli Usa. Il fronte sunnita renderebbe indirettamente grazia al protégé americano per eccellenza in Medio Oriente.
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