L’Autorità Palestinese è invischiata nella peggiore crisi finanziaria dal 1994, così profonda da spingere Israele a chiedere al Fondo Monetario Internazionale di intervenire immediatamente.
A lanciare l’allarme sulle condizioni delle casse di Ramallah è stato ieri il ministro del Lavoro, Ahmad Majdalani, che avverte: se i Paesi arabi non garantiranno il loro sostegno finanziario, il governo non sarà in grado di pagare i salari di luglio, né i debiti contratti con le banche in Cisgiordania. “Quello che è disponibile al momento in termini di fondi non è abbastanza per pagare i salari degli oltre 150mila dipendenti pubblici questo mese, con il Ramadan vicino – ha detto ieri Majdalani – E non è sufficiente a pagare i debiti che l’Autorità Palestinese deve alle compagnie private”. L’Ap si riunirà domani per discutere di eventuali soluzioni alla crisi.
Una crisi che si ripete: lo scorso anno il governo di Ramallah è più volte stato costretto a rimandare il pagamento degli stipendi pubblici per mancanza di liquidità, provocando la reazione della popolazione palestinese, scesa in piazza per protestare contro la politica economica del premier Salam Fayyad. Ultima in ordine di tempo, la sospensione del luglio scorso quando il primo ministro fu costretto a versare solo la metà degli stipendi per un buco di bilancio pari a cento milioni di dollari.
Ma stavolta la situazione appare più nera del solito. Prova ne è l’intervento israeliano che ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale di prestare un miliardo di dollari all’Ap. Richiesta rispedita al mittente: l’Fmi ha rifiutato perché la Palestina non è uno Stato. Tel Aviv è intervenuto presso l’FMI dopo un incontro tenutosi nei giorni scorsi tra il premier palestinese Fayyad e il governatore della Banca d’Israele Stanley Fischer: Fayyad ha ripetuto che la mancanza di fondi nelle casse di Ramallah è dovuto alla crisi finanziaria mondiale che ha spinto molti Stati donatori a tagliare drasticamente gli aiuti e alla concomitante riduzione di quelli girati dai Paesi arabi.
Dietro l’intercessione israeliana, c’è l’interesse ad evitare un collasso finanziario e politico dell’Autorità Palestinese, entità governativa nata dagli Accordi di Oslo del 1994 e da molti osservatori considerata un indiretto sostegno alle politiche israeliane nei Territori. Se l’Ap dovesse crollare, Israele perderebbe quello che è ritenuto a livello globale l’unico partner credibile nel processo di pace e potrebbe dover affrontare la reazione del popolo palestinese, spesso “drogato” dal denaro proveniente dall’estero che garantisce la sopravvivenza della popolazione, strozzata dalle politiche restrittive israeliane. Basti pensare che lo scorso anno, erano state le banche palestinesi ad aiutare a pagare la metà dei salari per salvare il governo di Ramallah, evitandone il collasso sotto le proteste popolari.
In molti, infatti, temono che la sospensione dei salari possa provocare proteste da parte della popolazione palestinese, soprattutto in vista dell’inizio del Ramadan, a fine mese. Immediato l’intervento dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina: “Il comitato esecutivo dell’Olp fa appello a tutte le Nazioni sorelle arabe perché contribuiscano alla soluzione della grave crisi finanziaria che l’Ap sta affrontando. Il prolungamento della crisi minaccerà lo sviluppo dell’Autorità sia nel breve che nel lungo termine e la stabilità delle sue istituzioni”