Si era rifugiato all’interno della sede dell’ambasciata dell’Ecuador due mesi fa esatti. E oggi Julian Assange è pronto alla sua prima apparizione in pubblico per fare una dichiarazione. Ma lo scontro diplomatico a tre – Ecuador, Gran Bretagna, Svezia – ancora in corso non permette al fondatore di Wikileaks di uscire all’aperto e presentarsi davanti ai giornalisti, che ipotizzano quale potrà essere la porzione di ambasciata sulla quale non rischia di essere arrestato dalla polizia britannica. La parte antistante l’edificio diplomatico e le parti comuni dell’immobile, vengono infatti considerate territorio di sua maestà.
Si attende dunque lo scoccare delle 14, ora in cui, ha annunciato lo stesso Assange, parlerà in pubblico. Forse dal balcone della sede diplomatica di Quito. Da lì le autorità inglesi, che sorvegliano giorno e notte l’ambasciata, non potranno intervenire. E intanto gli stati sudamericani dell’Unasur sono in allerta per una possibile, ma dicono gli esperti, poco probabile irruzione delle autorità britanniche all’interno dell’ambasciata londinese di Quito. E alla riunione dell’Alba (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America ) Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, ha detto che la minaccia di Londra non è stata ritirata.
Un grave monito giunge dal Sudamerica, e i ministri degli esteri presenti alla riunione di Guayaquil, hanno stilato una nota, nella quale respingono “il modo contrario al diritto internazionale con il quale il Regno Unito vuole risolvere i contenziosi”, chiedendo un “ampio dibattito nell’Onu sul tema dell’inviolabilità delle rappresentanze diplomatiche”. E il ministro degli esteri venezuelano, Nicolas Maduro, ha dichiarato che “un’aggressione all’integrità territoriale dell’Ecuador a Londra scatenerebbe gravi conseguenze in tutto il mondo”. E nelle ultime ore è arrivata anche la solidarietà di Argentina e Brasile all’Ecuador.
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