Siria: vogliono invaderci come in Iraq
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Siria: vogliono invaderci come in Iraq

Le armi chimiche una scusa per intervenire dall'esterno, secondo il vicepremier Qadri Jamil. Incerta la sorte di due giornalisti di Al-Hurra, rapiti ad Aleppo.

Siria: vogliono invaderci come in Iraq
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21 Agosto 2012 - 20.14


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Ci sono armi chimiche anche in Siria? E’ la domanda delle domande rivolte al vicepremier siriano Qadri Jamil, che da Mosca ha risposto ai cronisti sull’argomento, ipotesi avanzata da Barak Obama nei giorni scorsi. “L’occidente cerca una scusa per un intervento armato in Siria. Se questa scusa non funziona, ne troveranno altre. Ma noi diciamo che questo non è possibile”, ha detto Jamil. Una storia che fa tornare alla mente le accuse rivolte al regime di Saddam Hussein in Iraq, prima dell’attacco armato nel 2003. In quell’occasione i rapporti delle varie intelligence si erano poi rivelate costruzioni a tavolino, spesso senza alcun fondamento. Adesso la circostanza si ripropone anche in Siria, dove la comunità internazionale spera che si faccia chiarezza sulla situazione.

Ma intanto arrivano le smentite senza condizioni del governo di Assad, che parla di una scusa per poter intervenire militarmente dall’esterno nella guerra che si sta combattendo da mesi, e che nelle ultime settimane si è fatta decisamente più cruenta. E il vice premier siriano Jamil ha fatto sapere che qualunque operazione straniera nel Paese al momento sarebbe inopportuna, anche perché rischierebbe di portare il conflitto siriano ben oltre i confini del Paese. E aggiunge che la diplomazia siriana è “disponibile a discutere” le dimissioni del presidente Bashar al-Assad, anche se questo dovrà avvenire nel corso di un processo di dialogo nazionale. E il Cns (Consiglio nazionale siriano), la maggiore forza di coalizione d’opposizione, starebbe nel frattempo “studiando la formazione di un governo di transizione”, come peraltro già annunciato diverse volte.

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Ma per la stampa in Siria oggi è una giornata particolarmente pericolosa. Dopo l’uccisione della giornalista Mika Yamamoto, altri due cronisti sono stati rapiti ad Aleppo. Un reporter palestinese e un cameraman turco. Entrambi lavorano per l’emittente Al-Hurra, un canale televisivo finanziato dagli Stati Uniti che trasmette in lingua araba. A confermare il sequestro è stato il comandante dell’esercito libero siriano, colonnello Abdel Jabbar al-Okaidi, che ha anche riferito del ferimento del cameraman.

L’ipotesi è che i due cronisti catturati siano gli stessi di cui aveva parlato in giornata l’Osservatorio dei diritti umani. All’appello però, stando a quanto aveva annunciato l’organizzazione non governativa, macherebbe ancora un giornalista.

I due sarebbero stati catturati da un gruppo armato identificato con alcuni militari lealisti, fedeli ad Assad, che li hanno presi proprio nel distretto centrale di Suleyman al-Halabi, dove è stata uccisa anche la reporter dell’agenzia di stampa indipendente “Japan Press”.

L’emittente Al-Hurra ha confermato di aver perso i contatti con il giornalista palestinese Bashar Fahmi e con il cameraman turco Cuneyt Unal. Ma l’autista dei due reporter afferma che a rapirli sarabbero stati uomini che indossavano le uniformi dei ribelli.

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Intanto il bilancio ordierno dei morti negli scontri in Siria è salito a 110, a causa degli attacchi di miliziani filogovernativi. A denunciarlo via Twitter sono gli attivisti di opposizione al regime, che fanno parte dei Comitati di coordinamento locale, che parlano di un massacro alle porte di Damasco. 40 di loro sarebbero stati uccisi nella zona di Almoadamyeh, sobborgo a sud est della capitale siriana. Altri scontri si sono registrati a Daraa, Deir ez-Zor, oltre che ad Aleppo.

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