Il maledetto XX Secolo dei massacri
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Il maledetto XX Secolo dei massacri

Tre guerre Mondiali (quella fredda fu guerra vera), 188 milioni di morti, e le guerre di oggi tra fantascienza, droni e paura di un futuro che non cambia. [Ennio Remondino] <br>

Il maledetto XX Secolo dei massacri
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Ennio Remondino Modifica articolo

22 Agosto 2012 - 11.00


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di Ennio Remondino

Le tre guerre mondiali. Lo studio di un ricercatore e analista australiano dalle evidenti origini italiane, John Bruni, offre una crudele ma puntuale rilettura del secolo che ha formato noi attuali adulti. Con molto poco di cui essere fieri. Ad esempio: il 20° Secolo è stato senza dubbio il più sanguinoso nella storia dell’umanità. La stessa “guerra fredda” (1947-1991) può essere considerata come una “guerra mondiale”. Tre guerre mondiali e una montagna di morti. Prima guerra mondiale (1914-18), 38 milioni di vite. Seconda guerra mondiale (1939-45), 60 milioni di vite. La guerra fredda (1947-1991), terza guerra planetaria offre una contabilità più complessa. Sia che la leggi da Washington come conflitto per contenere il comunismo, o se la ripercorri vista da Mosca (e dall’Africa, Asia e sud America) come una guerra per liberare i popoli oppressi dai resti del colonialismo europeo. Totale di 90 milioni di vite il suo costo umano. Se vogliamo aggiungerci qualche decina di milioni di morti per i terribili dopoguerra di fame e malattie, da 188 arriviamo a 200 milioni di morti per scelta politica e volontà precisa e tecnologicamente perseguita al rialzo.

L’incasso immediato. La Prima Guerra Mondiale ha richiamato gli Stati Uniti in Europa come un partecipe attivo negli affari europei aprendo la strada all’autodeterminazione nazionale contro il dominio degli imperi di Germania, Austria-Ungheria e Turchia ottomana. La seconda guerra mondiale ha visto l’estinzione del nazi-fascismo come ideologia neo-imperiale, assieme all’esaurimento del potere militare europeo, assieme alla proliferazione degli egoismi nazionali. Cadono anche gli imperi delle potenze alleate: Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Belgio e Paesi Bassi. Ha inoltre lasciato la maggior parte dell’Europa orientale sotto il controllo sovietico. Subito pronta la Terza guerra chiamata “fredda” con l’inganno. Si impone il dominio americano sull’Europa occidentale attraverso l’alleanza anti-comunista militare della Nato, contemporaneamente alla creazione di Israele in Medio Oriente, l’ascesa di nuovi poteri regionali come Pechino, New Delhi e Brasilia, per finire con il successo del contenimento e poi del crollo del potere sovietico. Ognuno di questi passaggi del 20° secolo ha inaugurato nuove tecnologie di uccisione, di distruzione, e strategie di guerra.

Ammazzare più e meglio. Se la prima guerra mondiale ha visto l’introduzione dell’ala fissa nei primi aerei da combattimento, la seconda guerra mondiale vede l’arrivo del radar, i primi aerei a reazione, i primi missili, l’uso di portaerei, e infine l’uso della bomba atomica. La guerra fredda raffina tutto questo e fa proliferare le armi atomiche e termonucleari montate su missili balistici in grado di colpire ogni parte del pianeta. Il quasi-monopolio Washington e Mosca nella loro capacità di distruggere tutta la vita sulla Terra, ha impedito sia agli Stati Uniti che all’Unione Sovietica di lanciare una grande guerra nei teatri critici dell’Europa centrale e il Nord-est asiatico. L’equilibrio del terrore che limita la terza guerra mondiale all’uso degli armamenti più convenzionali. Che producono sempre e comunque quei 188 milioni di morti diretti visti prima. Le diverse “buone ragioni” della singole guerre sospendono il giudizio etico e morale sull’uso della forza al fine di ottenere la sconfitta dell’avversario. Esempio, le spesso dimenticate atrocità alleate nella seconda guerra mondiale come i bombardamenti incendiari di Dresda e delle principali città del Giappone.

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Guerra nello spazio. Come la tecnologia militare progredisce, in particolare nello spazio, attraverso satelliti di navigazione e l’uso dei computer miniaturizzati, servono sempre meno militari generici. La dimensione delle forze militari può essere ridotta senza compromettere la loro capacità di perseguire gli obiettivi. Massima espressione di questa filosofia ha spazio negli Stati Uniti sotto la presidenza di George W. Bush, con segretario alla difesa Donald Rumsfeld. Quest’ultimo sosteneva che le nuove tecnologie militari avrebbero consentito agli Usa di condurre operazioni globali, tipo l’imporre cambi di regime, senza la necessità di masse “di manodopera” o di attrezzature pesanti. Primo obiettivo di questa nuova strategia la cacciata dei Talebani/Al Qaeda dal potere in Afghanistan in risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001. Non fu così, ma la teoria si sarebbe ripetuta in modo più disastroso nel corso del 2003 in Iraq. Come conseguenza, negli ultimi dieci anni, nel primo decennio del 21° secolo abbiamo assistito all’emergere di un nuovo ciclo di conflitti globali definito dall’amministrazione Bush come “Guerra al Terrore” o meglio, come la “Lunga Guerra”.

La Lunga Guerra attuale. Tre distinti teatri di combattimento: Afghanistan (2001-in corso); Iraq (2003-11) e Pakistan (2001-in corso), con 250 mila morti dichiarati. Questa cifra non comprende le vite perse in segreto e le operazioni minori condotte in altri teatri di combattimento come nella Penisola Arabica, il Corno d’Africa, Asia centrale e sud-est asiatico. Ma anche queste possono essere definite guerre di portata internazionale o mondiale, anche se molto meno intense e molto meno coerenti di quelle del secolo scorso. Mentre la maggior parte delle guerre sono in una certa misura asimmetriche, in quanto nessuna delle parti in un conflitto è dotata, armata e addestrata in pari modo, la Guerra al Terrore ha visto lo stato più potente del mondo schierato contro uno dei meno potenti attori non statali, un gruppo jihadista globale. La natura diffusa di questo non-stato mette in crisi il metodo scelto per combatterlo. Al Qaeda, contro la costante pressione militare americana, ha dato al gruppo un valore strategico e politico e, paradossalmente, una forma di legittimità. Altri gruppi vicini antioccidentali si sono formati dal Nord Africa al Sud-Est asiatico.

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Nuova sfida nuove armi. Contro questa minaccia globale gli Stati Uniti hanno moltiplicato il numero di nuove basi, cercando localmente nuovi alleati per contribuire alla lotta contro l’hydra-jihadista. In puro stile americano, è stato fatto un grande sforzo nella ricerca di nuove tecnologie per questa nuova forma di guerra. La vera novità sono i veicoli aerei senza equipaggio (Uav), noti come droni. Nascono da una lunga storia legata all’uso di velivoli telecomandati come mezzo di guerra per la sorveglianza del nemico. Ora sono diventati ben altro. L’autrice americana Annie Jacobsen, nella sua pubblicazione “Area 51” fa partire la sua analisi dai costi. La professione delle armi, ultimo bastione del patriottismo tradizionale e dell’onore, sono oggi anacronismi. Vince la guerra a “controllo remoto”, condotta da operatori a centinaia o addirittura migliaia di chilometri da uno stato nemico. Capaci di compiere “omicidi mirati” attraverso droni armati. Implicazioni giuridiche e politiche infinite. Chi è responsabile quando una missione di controllo a distanza va storta e degli innocenti vengono accidentalmente uccisi? I numeri a noi noti fanno davvero paura.

Da fonti aperte. Salvo segreti di Stato, ci sono circa 7.000 velivoli senza equipaggio in servizio negli Stati Uniti. Col compito di monitorare aree per individuare gruppi terroristici. Una “guerra dei droni” è attualmente condotta dagli Stati Uniti nel territorio dell’inaffidabile alleato Pakistan, regione del Waziristan, zona di resistenza di ciò che resta di al Qaeda in fuga dall’Afghanistan. Questa guerra dei droni ha congelato i rapporti diplomatici degli Stati Uniti con Islamabad senza incidere sui rapporti tra al-Qaeda e i talebani. Altri vigilati speciali lo Yemen e la Somalia, con i droni statunitensi a caccia di leader terroristi e di pirati per spedire loro una raffica di Missili Hellfire o un assortimento di bombe a guida laser. In Iran ogni movimento della sua elite militare è spiato in dettaglio dalla costellazione di satelliti americani o sorvoli di Predator, Sentinel e gli Uav Reaper. A vantaggio dell’America, questa tecnologia è un salto incredibile in avanti. La fase successiva sarà la distribuzione di “semi-autonome robot” al soldato in prima linea. Il rovescio della medaglia a questo squilibrio tecnologico sarà un aumento delle inspirazioni anti occidentali tra le popolazioni.

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E la quarta guerra mondiale? Cosa significa questo per il futuro della guerra? Gli ottimisti sono convinti che il 21° secolo sarà molto lontano dal cruento 20° secolo. La tecnologia militare è sicuramente molto più accurata. I capi terroristi o degli insorti possono essere presi di mira ed eliminati con un elevato grado di certezza e limitati “danni collaterali” a persone o cose. L’attuale crisi finanziaria mondiale vedrà molti paesi occidentali costretti a tagliare i costi della loro forze militari. Non a caso, l’«Orientamento Strategico» del gennaio 2012, comunicato dal presidente degli Stati Uniti Barak Obama è indicativo del fatto che questa tendenza sarà a lungo termine. Ma se questa guerra altamente tecnologica è la forma delle cose a divenire, perché non abbiamo ancora visto il ‘missione compiuta’ in Afghanistan? Perché il disordine regna nello Yemen e in Somalia? La tecnologia è uno strumento per gestire la guerra, non la sua soluzione. Mentre l’Iraq e l’Afghanistan ci hanno insegnato che anche le forze irregolari sanno adattarsi a nuove modalità di combattimento (vedi ordigni a distanze e kamikaze). Allora, dove andiamo a finire da qui, vista anche la guerra in Siria?

Guerre stellari. Le guerre del futuro saranno quelle in cui il “nemico” non si guarda negli occhi. Dove la morte può essere decisa da grandi distanze, dove i militari saranno dei tecnocrati. Fine delle idee e delle idealità. La guerra del passato è stata cruenta per un concetto o un’idea. Imperatore,
Re, il Califfo, il Papa, il principe o il Presidente valgono il sacrificio estremo? Ne vale la pena, è giusto? Se lasciamo le macchine agire per nostro conto, come facciamo a valutare, a pensare? La distribuzione di sistemi d’arma semi-automatici, consente ai governi di esercitare un potere sfrenato. Perché? Perché nessuno si cura di un robot che viene fatto saltare in aria mentre difende un pozzo di petrolio in Arabia Saudita, o una condotta in Nigeria o contende lo spazio aereo proibito ad uno stato nemico. Nessuno in Occidente è interessato se un villaggio di innocenti è stato raso al suolo, se un ospedale è stato scambiato per posto di comando nemico, o se un asilo è stato scambiato per un deposito di armi. Vogliamo sapere solo che nessuno “dei nostri” si sia fatto male. E questo finirà per erodere il già labile senso morale ed etico delle responsabilità sui temi della guerra e della pace.

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