Una strage di bambini si è consumata davanti alle coste occidentali della Turchia. Si tratta di migranti che scappavano dalla guerra e dalla fame, insieme a genitori e parenti, su una barca naufragata a 100 metri dalla salvezza. I piccoli morti sono, secondo le prime ricostruzioni, 31 tra i quali 3 neonati; gli adulti 30, anche se proseguiranno per tre giorni le ricerche di altre possibili vittime e magari di qualche sopravvissuto. Gli scampati sono 46 inclusi il capitano e il suo secondo, entrambi turchi ed entrambi arrestati.
Si tratta di siriani, palestinesi, iracheni, stipati, come sempre, in un peschereccio di 20 metri. Sono finiti all’alba sugli scogli di Ahmetbeyli, piccola località turca all’altezza di Smirne, da dove si vedeva già Samos, isola greca e già Europa, porta d’ingresso verso Paesi più ricchi e, era la speranza dei migranti, in grado di accoglierli. Dalla capitaneria di porto di Smirne sono partiti i soccorsi e i gommoni dei sommozzatori che stanno perlustrando le acque alla ricerca di qualcuno ancora vivo, anche se le speranze, con il passare delle ore, si affievoliscono sempre di più.
L’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr), dopo aver espresso «cordoglio per questa ennesima tragedia del mare», sottolinea che «è tanto più inappropriato e fuorviante riferirsi alle vittime di questo naufragio come clandestini». «Purtroppo – afferma la portavoce Laura Boldrini – i media continuano a non prestare la dovuta attenzione al linguaggio che invece è determinante nella percezione del fenomeno migratorio». «Clandestino – spiega la Boldrini – è una parola piena di pregiudizio tanto più inopportuna in una situazione come questa. Non a caso tutti i media internazionali parlano di 58 rifugiati morti, solo quelli italiani li definiscono clandestini».
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