In Quebec la vittoria dei separatisti guidati da Pauline Marois sui liberali si può considerare anche una vittoria del movimento studentesco che ormai da sei mesi è in piazza per protestare contro l’aumento delle tasse scolastiche e universitarie deciso dal governo centrale del primo ministro Jean Chares.
Dopo l’annuncio dell’aumento delle tasse universitarie del 75% per i prossimi 5 anni, è iniziato lo “sciopero generale illimitato” che ha prodotto una repressione poliziesca senza precedenti. Con l’adozione di una normativa speciale (la Legge 12) tesa a forzare il rientro in classe della popolazione studentesca, anche i normali cittadini, pentole alla mano, sono scesi in piazza. Ma, nonostante il tentativo repressivo – l’uso di gas lacrimogeni e di granate assordanti; l’arresto di migliaia di manifestanti; l’arrivo delle squadre antisommossa nei corridoi dei college – gli studenti hanno avuto la capacità di organizzare intorno a sé un vastissimo consenso: dai loro stessi genitori agli operai che stavano perdendo il lavoro, fino alle più importanti organizzazioni sindacali.
Così le elezioni si sono trasformate in un referndum sulle politiche del governo di destra. Non solo contro l’aumento delle tasse scolastiche, quindi ma anche contro la requisizione di 1,2 milioni di km quadrati agli indigeni per farne concessioni minerarie; contro la riduzione della sanità pubblica; contro i tagli all’energia “pulita per eccellenza”, quella idroelettrica.
In Quebec le tasse scolastiche e universitarie sono le più basse del subcontinente nordamericano. Sarebbero rimaste tali anche con il previsto aumento del 75%. Ma qui la storia è un’altra: gli studenti hanno una forte tradizione di lotta per l’istruzione gratuita, una lotta che dura dalla cosiddetta “Rivoluzione silenziosa” del 1960.