L’indagine per abuso di posizione dominante avviata dall’Antitrust dell’Unione Europea nei confronti di Gazprom rischia di creare una frattura dai risvolti imprevedibili nei rapporti tra Bruxelles e Mosca. Alla richiesta di dati sensibili, tesa a verificare eventuali violazioni delle norme che regolano la libera concorrenza nei Paesi Ue, inoltrata ai vertici del colosso russo del gas dagli uffici del garante alla concorrenza, Joaquin Almunia, ha fatto seguito la prima contromossa del Cremlino. A una settimana esatta dall’apertura dell’istruttoria, Vladimir Putin ha emanato un decreto secondo il quale le società di interesse strategico potranno fornire informazioni ad autorità e organizzazioni internazionali solo dopo aver ottenuto il nulla osta del governo.
Con Gazprom sottratta di fatto alla giurisdizione europea, Mosca alza il tiro e trasferisce lo scontro dal piano economico a quello politico. Se Serghei Kupriyanov, primo portavoce del gigante russo, accusa Bruxelles di mettere in atto una strategia volta a negoziare al ribasso i prezzi del gas per i Paesi dell’est, Putin in persona, nella giornata conclusiva del vertice Apec di Vladivostok ha attribuito l’apertura dell’indagine alla crisi economica in cui versa l’Unione Europea. A suo giudizio Bruxelles tenterebbe di riversare su Gazprom il peso del sostegno economico elargito agli ex Paesi satelliti entrati a far parte dell’orbita di Bruxelles.
Secondo gli ispettori della Commissione Europea la compagnia avrebbe danneggiato i consumatori attraverso l’innalzamento ingiustificato dei prezzi, la manipolazione sistematica del flusso del gas e l’impedimento di ogni forma di diversificazione nell’approvvigionamento energetico. L’Ue ipotizza che Gazprom abbia commesso tali violazioni in almeno otto Paesi, tutti dipendenti dal gas russo in alcuni casi per quote superiori all’90 per cento: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria e Bulgaria e non si esclude che, nelle prossime settimane, l’elenco possa ulteriormente allungarsi. Se le accuse si rivelassero fondate, al colosso diretto da Alexei Miller potrebbe essere comminata una megasanzione pari a 10 miliardi di euro.
Formidabile strumento di pressione geopolitica in mano al Cremlino, nel 2011 Gazprom ha prodotto 513 miliardi di metri cubi di gas, il 15 per cento della produzione mondiale. L’Unione Europea importa dall’estero l’80 per cento del fabbisogno di gas e, negli ultimi anni, le forniture provenienti dalla Russia sono aumentate fine al 35 per cento, per un totale di 370 miliardi di metri cubi nel solo 2010. Nonostante sia al vertice delle esportazioni mondiali, Mosca nel 2012 sta risentendo del calo dei consumi avvertito in tutta Europa a causa della crisi, tanto da aver chiuso il primo trimestre con un calo degli utili pari al 24 per cento.
Consapevole che gli effetti di un ulteriore crollo delle esportazioni di gas nel Vecchio Continente potrebbero indebolire il tessuto economico russo, Putin ha iniziato concretamente a rivolgere lo sguardo verso oriente. Le nazioni presenti al summit di Vladivostok hanno deciso di mettere a punto un nuovo sistema di distribuzione energetica per l’intera regione del Pacifico, destinato ad incrementare in maniera esponenziale le esportazioni di gas russo in Cina, Giappone, Vietnam e Corea del Sud. Un ruolo cruciale per raggiungere tale obiettivo sarà giocato dalla pipeline che trasporta nell’Oceano Pacifico il gas proveniente dalla Siberia Orientale. Con l’aria che tira in Europa ci sarebbe poco da stupirsi se Mosca orientasse la strategia commerciale di Gazprom verso l’area in cui sono concentrate le più promettenti fra le tigri asiatiche.
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