Israele-Anp, le mani sul gas di Gaza
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Israele-Anp, le mani sul gas di Gaza

Al via il tavolo per lo sfruttamento congiunto del gas naturale della Striscia. Da Ramallah nuovo regalo a Israele, che con una mano occupa e con l’altra prende risorse.

Israele-Anp, le mani sul gas di Gaza
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24 Settembre 2012 - 12.07


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di Emma Mancini

Risolvere la crisi interna facendo affari con l’occupante. In molti ieri hanno storto il naso all’annuncio del possibile sfruttamento congiunto israelo-palestinese del gas naturale lungo le coste della Striscia di Gaza.

Una nuova forma di normalizzazione, secondo alcuni, e l’ennesimo strumento di sfruttamento delle risorse naturali palestinesi da parte di Israele. Un passo verso il tavolo dei negoziati, secondo altri, Tony Blair in testa, fiero promotore di una simile iniziativa. Insomma, mentre Gaza resta sotto assedio ed embargo, totalmente chiusa all’esterno sia via terra che via mare, mentre metà della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà e mentre la Marina Israeliana spara contro le piccole barche dei pescatori palestinesi usciti in mare per sopravvivere, c’è chi propone a Israele e Palestina di collaborare in campo energetico per sfruttare quei ghiotti 28 metri cubi di gas naturale che si celano lungo le coste della Striscia.

A dare la notizia è stato ieri il quotidiano Maariv, che ha pubblicato in anteprima un rapporto del Ministero degli Esteri di Tel Aviv, che precede il prossimo meeting a New York tra i finanziatori dell’Autorità Palestinese. E il governo di Ramallah avrebbe, secondo il quotidiano, avviato consultazioni e negoziati con la controparte israeliana, sperando in introiti in grado di salvare l’Ap dal collasso finanziario.

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Immediata la reazione di Hamas, partito che governa de facto la Striscia di Gaza: “Non riconosciamo nessun accordo raggiunto dall’Autorità Palestinese in merito al gas lungo le coste di Gaza – ha detto Sami Abu Zuhri, portavoce del partito islamico – Il governo di Gaza dovrebbe essere consultato per ogni accordo di questo tipo”.

L’intesa – fortemente voluta da Tony Blair, ex premier britannico e oggi inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente (Unione Europea, Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite) – è subito piaciuta a Tel Aviv, ansiosa di trovare fonti energetiche nuove e più economiche. Magari proprio fuori casa, a Gaza: come ha prontamente sottolineato il Ministero degli Esteri, “lo sviluppo del gas naturale a Gaza creerà introiti che potrebbero contribuire in grande misura alla sostenibilità fiscale palestinese”. La stessa portavoce di Blair, Ruti Winterstein, ha assicurato che saranno due le compagnie private ad occuparsi dell’estrazione del gas, il BG Group e la Consolidated Contractors Company, che poi gireranno tasse e diritti all’AP, sotto la supervisione del premier palestinese Fayyad.

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Israele fa il buon samaritano, dimenticando che ogni shekel di tasse pagato dalla popolazione palestinese e diretto nelle casse di Ramallah deve prima passare per quelle di Tel Aviv, che decide quando e se trasferire il dovuto all’Ap. E dimenticando che la crisi economica palestinese è in gran parte dovuta al Protocollo di Parigi con cui Israele ha volutamente reso l’economia di Ramallah totalmente dipendente dalla propria attraverso il controllo unilaterale dei confini, delle importazioni e delle esportazioni. O ancora, dimenticando la colonizzazione della Cisgiordania e delle sue risorse naturali, dall’acqua alle terre agricole, completamente nelle mani delle autorità israeliane che dal 1967 ad oggi hanno deprivato il popolo palestinese delle sue tradizionali fonti di sostentamento.

Ma se Israele fa il buon samaritano, i leader palestinesi rischiano di nuovo di vendere l’anima la diavolo per pochi spiccioli. Come già accaduto con gli accordi di Oslo, con il Protocollo di Parigi e poi con quello di Hebron. Un processo di pace a cui è stato dato il nome di un negoziato, quando in realtà è una resa.

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E un altro piccolo regalo ad Israele l’Autorità Palestinese lo ha fatto anche ieri. Il governo di Ramallah, per calmierare i prezzi e sostenere le famiglie palestinesi in questo periodo di crisi economica, ha deciso di sospendere le restrizioni al numero di società e compagnie israeliane autorizzate ad importare prodotti nel mercato palestinese.

L’idea è abbassare i prezzi aumentando la concorrenza, spiega il ministro dell’Economia Jawad Naji: “Il sistema delle agenzie e dei distributori esclusivi di beni prodotti in Israele o prodotti all’estero e importati tramite agenzie israeliane è finito”. “Permetteremo a tutti i commercianti interessati a comprare direttamente dal mercato israeliano senza alcun intermediario”. Restano fuori, ha sottolineato il ministro, i beni prodotti nelle colonie israeliane in Cisgiordania.

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