Siria ultima vetrina. Le bombe a grappolo sono come delle chiocce malvage che seminano i loro pulcini letali in una vasta area. C’è un ordigno principale, il “Cluster”, che contiene e poi sparge un certo numero di submunizioni: le bomblets. Il tipo più comune -spiega impietosa l’enciclopedia- è progettato per colpire persone e veicoli, ma ne esistono varianti per distruggere piste di atterraggio, linee elettriche, liberare sostanze chimiche, biologiche, incendiarie e alcune che hanno diversi effetti combinati. I campi di calcetto, come avvenuto in Siria, non sono programmati come bersaglio, ma accade. Effetti collaterali della follia guerra.
Convenzioni beffa. Esempi di bombe a grappolo utilizzate largamente sono le statunitensi BLU-97 e Mk-118 Rockeye, la britannica BL755 (arrivata alla serie IV), la GR66 francese, la PFM1 sovietica, la AO 2,5RT sovietica, la AO1SCh sempre sovietica o la nuova MZD-2 cinese, purtroppo diffusissima sui terreni del Libano del Sud e confine nord di Israele. È stato raggiunto un accordo internazionale per la messa al bando di alcuni tipi di bombe a grappolo. Ma non aderiscono Stati Uniti, Cina, India, Pakistan, Israele, Russia, Brasile, Iran, Libia, Arabia Saudita, oltre a varie altre nazioni di minori dimensioni. La Siria è una tra queste.
Le ho frequentate. Le bombe a grappolo sono assassine vigliacche. Colpiscono a tradimento e prediligono gli indifesi. Sono ordigni terroristi. Ne ho viste sparse in giro in Afghanistan, in Iraq, ma anche nei vicini Kosovo, Bosnia, Croazia, Serbia, Libano. Chi sa mai chi le lanciava e perché volavano? Nel 2006 da Tiro, sud del Libano, ne mostrai qualcuna lanciata sui territori hezbollah e fui duramente attaccato dal sito “Correttainformazione” di alcuni amici ebrei. La verità brucia e già allora accadeva anche di peggio. Droni senza pilota a vigilare costantemente il campo di battaglia. Ma non soltanto occhi acuti, i loro. Anche artigli mortali.
Gli omicidi tecnologici. Ahmed al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio militare di Hamas, è stato ucciso da un missile israeliano che ha centrato la sua auto a Gaza. Fatti della guerra dell’altro ieri. Sentenza di morte perché Al Jabari fu tra gli organizzatori della detenzione del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito nel 2006 e rilasciato nel 2011. Alla sua morte sono seguiti gli attacchi di Hamas verso la città israeliana di Beer Sheva e raid dell’aviazione dello Stato ebraico. Operazione ‘Pillar of Defence’. Contromossa di Hamas potenziale: attentati suicidi e bombe nelle città israeliane. Tecnologia e clava, la stessa logica.
E fu “Targeted Killings”. L’uso malizioso delle parole per taroccare concetti è antico come il mondo. E il diritto internazionale elastico come certe idealità politiche. Decidi di colpire a distanza un tuo nemico giurato? “Targeted Killings”, il bersaglio da uccidere lo fai diventare una forza letale da cui hai diritto a difenderti. Quello che chiamano “Law Enforcement”. Ed ecco che uno Stato -giusto per salvare le apparenze- invochi la legislazione sui “Conflitti Armati” per l’uso della “forza letale” come “reazione proporzionata” all’aggressione armata. Missili «Hellfire» e bombe a guida laser sui droni che diventano così armi d’attacco all’uomo.
Ridere per non piangere. Per darci una patina di civiltà, abbiamo provato a darci leggi sull’uso di “forza letale”. La Convenzione di Praga del ‘903 e quella di Ginevra a bfine guerra mondiale. Da allora il mondo s’è rivoltato come un calzino, e in giuristi ad inseguire parlando di diritti umani. Di fatto la Comunità Internazionale consente le esecuzioni extra-giudiziali solo in due casi, comunque delimitati da precisi parametri: “Law enforcement” e “Just war”. Esecuzione di disposizioni di legge, o quando l’aggressore, per sottrarsi all’arresto minacci l’incolumità degli agenti o terze persone rendendo impraticabile la normale procedura.
Ammazzare solo i tiranni. Al di fuori di questi casi l’uso di forza letale è precluso anche in presenza di circostanze “analoghe alla guerra”. Guerra supportata dai Consessi Internazionali arbitri di decidere sei sia legittimo farla, l’Onu e, forzando un bel po’ il diritto, la stessa Nato. Il ricorso al “Targeted Killings” è ammesso solo per il tirannicidio e per le “Tiking Bombs”, bombe ad orologeria (minacce), purché queste ultime costituiscano una minaccia incombente e altrimenti inevitabile nei confronti di non-combattenti. In nessuno dei due casi è consentito il ricorso a imboscate, tradimenti, trucchi, uso di disertori”. Cavalleria da moschettieri.
Ma Dumas era francese. Nel conflitto israelo-palestinese, Tel Aviv ha utilizzato, nel tempo, metodi diversi contro le “insorgenze” palestinesi di formazioni armate già negli anni ’50 che svolgevano anche attività terroristiche nei Territori Occupati, in Israele e contro interessi israeliani all’estero. Inizialmente, Israele fece ricorso a “mezzi limitati” includenti punizioni collettive -tra cui assedio di intere città, distruzione di abitazioni di “terroristi” o sospetti tali e infrastrutture- e “attacchi mirati” nei confronti di militanti di formazioni combattenti palestinesi. L’uso della “forza letale” come “reazione proporzionata” all’aggressione armata.
Militare e paramilitare. Tel Aviv non identifica le milizie armate come “legali combattenti” che vestono uniformi e portano apertamente le armi. Né come “organizzazioni paramilitari” senza uniformi ma palesemente armate e rispettose della legislazione internazionale. Definendoli terroristi che miravano deliberatamente a obiettivi civili, erano esclusi anche dalla Convenzione di Ginevra e dai Protocolli. Contestazione internazionale, la non contestualità fra l’attacco subito e la reazione, e il contenimento dei “danni collaterali”, i civili non combattenti, con punizioni collettive della popolazione attraverso i bombardamenti.
E gli Usa ora copiano. Interpretazione simile a quella israeliana, dall’11 settembre 2001, quella statunitense che, in nome della “guerra al terrorismo, nei conflitti in Afghanistan, Iraq e Libia, non solo ha eseguito centinaia di “Targeted Killings”, prevalentemente con droni, ma ha organizzato campi di detenzione a Guantanamo, ad Abu Ghraib (vicino Baghdad), oltre a circuiti carcerari nascosti in numerosi Paesi nei quali si praticava la tortura. Molti detenuti, privati dello status di “combattente”, subiscono così anni di detenzione senza accuse specifiche, senza processo e senza alcuna assistenza legale. Col caso italiano di Abu Omar.