Il voto all'Onu visto da un palestinese
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Il voto all'Onu visto da un palestinese

Amo Dickens e i muffin, non la politica estera statunitense e britannica, perché da un secolo avversano la soluzione dei due stati, Israele e Palestina. E insistono.

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1 Dicembre 2012 - 19.18


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di Hisham Abdallah

Ci sono tantisisme cose del mondo anglossasone che amo: Charles Dickens, i muffin, e tanto altro. Detesto però la politica estera anglosassone, nel senso che la stessa politica è stata prima del Regno Unito e poi degli Stati Uniti.
Si tratta dei due imperi, le due superpotenze, di un tempo e di oggi (forse di oggi non più, ma insomma….) Sono loro i principali responsabili del fallimento, fino ad oggi, della soluzione dei “due stati”, e quindi, come si ama dire, “hanno le mani sporche del sangue”, di tanti israeliani e di tanti palestinesi, morti per questo fallimento. Hanno anche altre responsabilità, ma qui interessa questa.

E’ un secolo tondo, dalla dichiarazione di Lord Balfour sul focolare ebraico in Palestina, che questi due imperi hanno ritardato, sabotato, e ostacolato tutti i tentativi di trasformare in realtà il progetto dei due stati.

Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno posto il veto alla richiesta di Abu Mazen di accogliere la Palestina tra gli stati membri. Il sabotaggio si realizzò con il sostegno britannico. Ieri Stati Uniti e Gran Bretagna si sono impegnati in una maratona diplomatica per determinare il fallimento anche della nuova richiesta di Abu Mazen, riconoscere la Palestina come osservatore permamente.

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Non hanno perso in un minuto, non hanno risparmiato sforzi, energie e trucchetti nè intimidazioni o minacce. In quei tentativi c’era un secolo di diplomazia anglosassone.

La signora Clinton, segretario di stato statunitense, ha compiuto una visita intimidatoria a Ramallah, per indurre Abu Mazen a desistere. La signora Clinton, in quell’incontro, gli ha detto, “You are going to destroy yourself politically”. Questo, si noti bene, accadeva durante l’ultima Guerra Guerra di Gaza tra Israele e Hamas.

Ci sarebbe tanto, tantissimo da dire sulla dichiarazione di Lord Balfour, del 1917, quella che portò alla divisione di quella che al tempo era la Palestina. Sono stati scritti centinaia di libri sull’argomento, come sui reali motivi che spinsero Londra su quella strada.
Di certo loro, i colonizzatori, fecero di tutto per favorire la nascita di Israele e impedire la nascita di uno stato di Palestina.

Poi, passata la bandiera coloniale agli Stati Uniti, insiema a Washington hanno fatto di tutto per convincere noi, i palestinesi, ad accettare la soluzione dei due stati, con il nostro su una percentuale pari al 22% della vecchia Palestina.
Ad un certo punto lo abbiamo fatto. Ma durante l’impero di Bush II, il “prime minister” che io chiamo “prime monster” britannico, Tony Blair, aggiunse alla formula dei “due stati” la parolina “praticabili”, o “possibili” forse, consentendo così che il processo di pace si prendesse altri otto anni di tempo, dal 2004 al 2012, durante i quali la futura Palestina è diventata meno “praticabile” a causa di un’infinità di ulteriori insdiamenti colonici e dell’assedio incredibilmente consentito a danno del presidente Arafat, assediato nel suo quartier generale di Ramallah.

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Stati Uniti e Gran Bretagna dunque non mollano; insistono a non volere la nascita di uno stato palestinese accanto a quello di Israele. La signora Suzanne Rice, ambasciatrice di Obama all’Onu e presto nuovo Segretario di Stato Usa, ha detto subito dopo il voto che i palestinesi appena svanirà l’ebrezza del roboante annuncio scopriranno che nulla è cambiato, se non che una vera pace è più lontana.

Signora Rice, mi dica: quante migliaia di vite devono essere sprecate, quanti milioni di profughi devono seguitare a soffrire, quanto odio e quanta oppressione devono seguitare a ingolfare i nostri cuori prim che vi decidiate a sostenere le ragioni della soluzione dei Due Stati?

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