Il presidente egiziano Mohamed Morsi accelera i tempi: ha fissato per il 15 dicembre il referendum consultivo sulla costituzione. L’ha fatto dopo essersi assicurato i pieni poteri e anticipando il giudizio della Corte suprema costituzionale (impedita fisicamente a riunirsi dai militanti islamisti) che avrebbe dovuto esprimersi sulla legittimità dell’Assemblea costituente, formata da 100 deputati scelti tra quelli eletti in parlamento, che però è stato sciolto dalla stessa corte.
Con il “golpe” del 22 novembre il presidente aveva sottratto il suo operato al controllo del potere giudiziario e aveva aperto la strada al varo della costituzione, redatta e approvata solo dai costituenti islamisti (Fratelli musulmani e salafiti), perché i laici (22 su 100) si erano ritirati dall’Assemblea per il modo in cui stava procedendo l’elaborazione del testo.
Dunque il “golpe” doveva servire anche a evitare l’intervento della magistratura sulla validità della costituente e della stessa costituzione.
Al di là delle discutibili modalità di approvazione – in 24 ore i costituenti islamisti hanno approvato 234 articoli senza nessun dibattito finale – molto grave è anche il contenuto. Un testo che non ha l’autorevolezza di una costituzione: si addentra in particolari (come sull’attività di pesca) e tralascia di fissare alcuni principi basilari su cui si devono basare le istituzioni dello stato.
Una bozza, assolutamente carente e inadeguata, che rivela quale fosse l’obiettivo degli islamisti: imporre la sharia (legge coranica) come principale fonte di legge (art. 2). Questo vuol dire che nessuna norma potrà essere in contrasto con la sharia: una scorciatoia per arrivare all’imposizione della legge coranica tout court. Il corano però non è una legge, quindi occorre fare riferimento alle scuole giuridiche (quattro) nate proprio per creare una legislazione basata sul testo sacro, ma ferme a sei secoli fa. E per gli aggiornamenti ci si affida agli interpreti di turno di Allah e di Maometto. Nella costituzione si risolve il problema affidando ad Al-Azhar (scuola e moschea con sede al Cairo e principale riferimento dell’islam sunnita) un potere consultivo (art. 4).
Mentre l’articolo 10 dà allo stato il potere di preservare la “natura genuina” della famiglia egiziana e di “salvaguardare l’etica, la moralità ….” (art. 11). Sono proprio questi i capisaldi con cui un potere religioso si impone su una visione laica della società: in nome della sharia e della moralità si possono giustificare tutte le violazioni dei diritti della persona (e in particolare delle donne), come già avviene in paesi musulmani con lo stesso tipo di costituzione e dove i delitti morali prevalgono sui reati stabiliti da una legge basata sul diritto.
Ci sono molti altri articoli a supporto di una dittatura e non di uno stato democratico: l’art. 53 limita la rappresentanza sindacale e un sindacato per professione. Mentre non fa accenno al divieto di leggi basate su discriminazioni religiose, sessuali o etniche. Le libertà di espressione viene condizionata dai principi che regolano lo stato e la società, la sicurezza nazionale, le responsabilità pubbliche, etc. (ar. 48).
Mentre il presidente espande i propri poteri anche alla nomina dei presidenti delle istituzioni indipendenti e delle autorità di monitoraggio (art. 202). Al parlamento è affidato il compito di regolare il “lavoro forzato” e il “lavoro minorile”, senza vietarli nella costituzione!
Riusciranno i rivoluzionari a contrastare la politica golpista del nuovo faraone, a difendere i loro obiettivi e a impedire la nascita di uno stato islamico? Il presidio di piazza Tahrir ha questo obiettivo, sostenuto da molte categorie della società che non vogliono tornare a un regime peggiore di quello abbattuto.
E l’occidente? In un primo tempo, soprattutto gli Usa, hanno contribuito a rafforzare Morsi per il ruolo giocato nella mediazione con Hamas per il raggiungimento della tregua con Israele. Il presidente egiziano ne ha approfittato per arrogarsi – proprio nelle stesse ore – il massimo dei poteri. E di fronte al “golpe strisciante” il rappresentante della Ue per il Mediterraneo, Fernandino Leon, sostiene di aver fatto notare a Morsi che il decreto del 22 novembre “è stato un errore”, ma che non è ancora il caso di prendere misure.
Aspetteremo un massacro in piazza Tahrir prima che la Ue si renda conto della gravità di quanto sta succedendo in Egitto?