Un bagno di sangue. Le operazioni per liberare gli ostaggi rapiti da un gruppo di guerriglieri islamici ieri in un sito di lavorazione del gas in Algeria – a In Amenas – si sono concluse e il bilancio è tragico: 30 i morti, sette di questi sono occidentali. 11 i guerriglieri uccisi dall’esercito algerino che oggi ha deciso di far scattare il blitz.
Gli ostaggi erano molti, perché il gruppo guerrigliero aveva sequestrato l’intero impianto, anche se alcuni potevano muoversi, alcuni erano stati rilasciati subito: la situazione non è mai stata perfettamente chiara. Gli ostaggi stranieri erano 41 provenienti da diversi paesi: dagli Stati uniti alla Romania. Alla fine del blitz dei 30 uccisi si conoscono le nazionalità soltanto di 15: 8 algerini e 7
stranieri di cui 2 britannici, 2 giapponesi e 1 francese. Per
quanto riguarda i rapitori si trattava di 2 algerini, tra cui
il leader del gruppo Tahar Ben Cheneb, 3 egiziani, 2 tunisini,
2 libici, un maliano e un cittadino francese.
Secondo diverse fonti il blitz dell’esercito algerino è scattato stamattina dopo ore di trattative: elicotteri hanno bersagliato il campo provocando un massacro di rapitori ma anche di ostaggi, di cui ora Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia chiedono ruvidamente conto al governo di Algeri.
Da ieri, dopo che le forze di sicurezza e le unita’ dell’esercito avevano circondato il campo, nonostante l’intransigenza di Algeri – che non aveva mai trattato in precedenza in casi del genere – ci sono stati timidi tentativi di aprire un dialogo con i rapitori jihadisti, che tuttavia hanno posto condizioni apparse immediatamente impossibili da accogliere: l’immediata rimozione del dispositivo di sicurezza intorno al campo fino ad una sorta di salvacondotto per allontanarsi dalla regione, con gli ostaggi da usare come scudi umani.
Nemmeno il tentativo di mediazione portato avanti dai notabili della zona di Illizi ha avuto seguito perché i rapitori, dopo aver dato l’impressione di accettare di incontrarli, hanno chiuso ogni possibilità.
Quando hanno visto che tutte le strade ‘negoziali’ erano chiuse, i rapitori hanno tentato una sortita, caricando degli ostaggi (forse una trentina) su uno degli automezzi usati per gli spostamenti del personale tra le varie strutture del campo, cercando in questo modo di rompere l’assedio. La risposta algerina non si è fatta attendere: quando il bus si è mosso dal campo verso la strada sterrata che taglia l’immensa distesa di sabbia che circonda gli impianti, si è levato un elicottero da combattimento che lo ha centrato con sventagliate di mitragliatrici. Quasi contemporaneamente, da terra è partito un primo attacco al compound che ha avuto come obiettivo gli alloggi dove era tenuta prigioniera la maggior parte degli ostaggi stranieri.
Mentre questo accadeva, molti degli ostaggi algerini, ma anche qualche straniero, approfittando del caos, sono scappati alla spicciolata, prima pochi, poi sempre di più. Quasi un esodo, a dare credito all’esercito, che parla di 600 operai algerini liberati. In serata è stato portato a termine l’attacco definitivo, con l’agenzia algerina Aps che ha dato conto della fine delle operazioni attorno alle nove.
Le reazioni delle cancellerie internazionali sono state sin da subito piuttosto negative, pur senza attribuire alcuna colpa all’esercito di Algeri. Alcune cose però si sono capite benissimo: la prima è che gli algerini non hanno avvertito nessuno – se non, forse, la Francia – come ha esplicitamente detto la Norvegia “lo abbiamo saputo solo a operazione iniziata”. E il Giappone, furioso, che mentre il blitz era in corso chiedeva di “sospenderlo”.
La seconda cosa è che l’attacco al sito petrolifero, e l’esito dell’attacco algerino, mostra una volta di più come l'”avventura francese” in Mali per combattere i terroristi islamici, cominciata dalla Francia e che ha – come è ovvio – coinvolto rapidamente anche gli altri paesi della Nato, sia cominciata senza avere idea di quale “mostro” si andava a svegliare.