Israele, la destra va male. Parlamento spaccato
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Israele, la destra va male. Parlamento spaccato

La destra di Benjamin Netanyahu ottiene solo un risicato vantaggio delle destre, boom a sorpresa di Lapid. Parlamento spaccato e difficili maggioranze.<br>

Israele, la destra va male. Parlamento spaccato
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23 Gennaio 2013 - 09.53


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Ripartizione ancora provvisoria dei 120 seggi della Knesset, il Parlamento israeliano. Qualche aggiustamento possibile dopo lo spaglio dei residenti all’estero e con la spartizione dei voti andati alle liste non rappresentate in parlamento. L’aggregazione Likud-Beitenu (di Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman), 31 seggi. Yesh Atid (C’é un futuro, di Yair Lapid), 19. Laburisti (Shelly Yachimovic), 15. Shas (ortodossi sefarditi), 11. Focolare ebraico (Naftali Bennett), 11. Fronte Torah (ortodossi ashkenaziti), 7. Ha-Tnuà (Tzipi Livni), 6. Meretz (sinistra sionista), 6. Raam (lista araba), 5. Hadash (comunisti), 4. Balad (lista araba), 3. Kadima (Shaul Mofaz), 2.
Provando a tradurre possiamo dire che, al momento, il blocco dei partiti confessionali e di destra ha 60 seggi, come il blocco dei partiti di centro-sinistra.

I quotidiani israeliani riferiscono con titoli vistosi del successo elettorale del partito centrista Yesh Atid (C’é un futuro) di Yair Lapid e della severa flessione patita da Likud-Beitenu di Benyamin Netanyahu e Avigdor Lieberman. Il filo-governativo Israel ha-Yom titola: ‘La sorpresa di Lapid, la delusione del Likud’. Nelle pagine interne il giornale riferisce che “Il Likud è sotto shock: la campagna elettorale ha fallito”. In maniera simile, Haaretz titola: “Successo drammatico di Lapid, delusione nel Likud”. Così pure Yediot Ahronot: “Duro colpo per Netanyahu, il balzo di Lapid”. Nei primi commenti viene delineata una possibile coalizione di governo che includerebbe Likud-Betenu, Yesh Atid e i nazionalisti di Focolare ebraico di Naftali Bennett.

Quindi, come scrive Massimo Lomonaco, Benyamin Netanyahu vince per un pelo, ma non sfonda e il trionfo annunciato nei giorni scorsi dai sondaggi si trasforma in un successo dal retrogusto amaro. Il nuovo parlamento israeliano partorito dalle urne, almeno secondo gli exit-poll, appare spaccato, con un possibile ma risicatissimo vantaggio del fronte delle destre (62 seggi sul totale di 120). A uscire a sorpresa come il vero vincitore è invece il nuovo partito centrista laico di ‘Yesh Atid’, del giornalista tv Yair Lapid, che facendo suo lo storico slogan di Barack Obama, ha festeggiato a tarda sera a Tel Aviv di fronte a una folla di sostenitori inneggiando alla “speranza di un cambiamento”.

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La lista Likud-Beitenu – frutto del patto tra Netanyahu e il suo ex ministro degli Esteri, il falco Avigdor Lieberman – conquista 31 seggi: meno di quanto i sondaggi indicassero e molti meno dei 40 della somma complessiva di deputati allineati dai due partner nel parlamento uscente. Subito dopo ci sono appunto i centristi di Lapid (19 seggi), mentre i Laburisti di Shelly Yachimovich, in parziale recupero, si piazzano terzi con 17 seggi. Non oltre le previsioni meno rosee, il risultato dell’altra star delle elezioni, il nazionalista religioso ultrà Naftali Bennett, di ‘Bayit HaYeudi’, fermatosi a 12 seggi. Seguono gli ortodossi sefarditi dello Shas, pure a quota 12.

La strada per il favorito Bibi – come è familiarmente chiamato in Israele – sembra dunque complicarsi e di molto. Anche se sulla carta, in base ad un calcolo puramente aritmetico e non politico, la destra, tutta compresa, avrebbe circa 62 seggi contro i 58 accreditati al centrosinistra (liste arabe comprese). Il premier stasera ha cantato vittoria (“è chiaro che gli israeliani hanno deciso che vogliono che continui a fare il primo ministro”), ma si è subito premurato di avvertire che il suo dovrà essere un governo di coalizione, “la più ampia possibile”. Poi, festeggiando (forse a denti stretti) il risultato con Lieberman al fianco, ha arringato una platea di attivisti indicando 5 impegni programmatici su cui costruire le auspicate larghe intese: e qui vengono moltre delle preoccupazioni internazionali.

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1) Priorità degli sforzi per impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari. 2) moderazione politica, che da parte sua sarebbe una novità. 3) Responsabilità economica. 4) Equità fra religiosi e laici. 5) Emergenza casa sul fronte sociale; nuove colonie in territorio palestinese?

Se i dati fossero confermati, si inaugura dunque una stagione di trattative e compromessi prima di arrivare alla formazione del nuovo esecutivo: esattamente il contrario di quello che si attendeva Netanyahu, che per tutta la campagna elettorale aveva chiesto una premiership forte con una nazione unita dietro di lui in modo da poter affrontare le numerose sfide che attendono Israele, dal dossier Iran, al riavvio delle trattative di pace, allo spinoso rapporto con gli Usa di Barack Obama e con la diplomazia europea sulla politica edilizia di espansione delle colonie nei Territori, seguita dal premier dopo l’accredito della Palestina all’Onu come Stato non membro.

Ago della bilancia è a questo punto il centrista Lapid, che nella fase pre-elettorale si è già dichiarato disponibile ad una collaborazione governativa con Netanyahu e che stasera ha parlato a sua volta di “larghe intese”. Dopo l’eclatante affermazione elettorale, Lapid che predica “il cambiamento”, potrebbe alzare d’altronde il prezzo. O magari puntare prima a promuovere un cartello di partiti di centro e di sinistra moderata in grado di far valere un peso maggiore. Fatto sta che queste elezioni hanno avuto un esito diverso da quello che molti commentatori e analisti davano invece per scontato: non solo per il risultato finale, ma anche per l’affluenza al voto, la più alta degli ultimi anni.

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Un aspetto che ha sorpreso molti e che sembra l’indice di un Paese in cerca di un’alternativa all’immobilismo che – a giudizio di alcuni – ha segnato le stagioni più recenti. E non solo in politica estera ma anche in quella interna, dove i morsi di una crisi crescente hanno indebolito la classe media e portato nelle piazze la gente sempre più in difficoltà con il caro vita. Una denuncia e un malcontento che Lapid ha saputo intercettare, cavalcando la speranza di una qualche svolta. Adesso il pallino è nelle mani del vecchio presidente Shimon Peres: dovrà affidare l’incarico, e non potrà esimersi dallo scegliere in prima battuta Netanyahu. Ma la strada per il premier in pectore appare tutt’altro che in discesa.

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