Tibet, nuovo caso di autoimmolazione
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Tibet, nuovo caso di autoimmolazione

Nei pressi del monastero di Bora un ragazzo tibetano di 23 anni si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Intanto monaci condannati per incitamento alla protesta.

Tibet, nuovo caso di autoimmolazione
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23 Gennaio 2013 - 17.09


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Kunchok Kyab, un ragazzo tibetano di ventitre anni, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco ieri, 22 gennaio, attorno alle 12.00 (ora locale) nei pressi del monastero di Bora, regione di Labrang, prefettura di Kanlho (Amdo). È deceduto sul luogo della protesta. Lo scorso 2 dicembre un altro giovane tibetano, Sungdue Kyab, si era dato fuoco lungo la strada che conduce allo stesso monastero. Era sopravvissuto e ora è piantonato in un ospedale di Kanlho sotto stretta sorveglianza.

A Bora la situazione è molto tesa. Dopo l’immolazione un gran numero di forze di sicurezza è confluito nella regione e la popolazione locale, arrivata in loco da tutte le aree circostanti, ha chiesto che i resti di Kunchok, portati dalla polizia in una località sconosciuta, siano restituiti ai famigliari per la celebrazione dei riti funebri. Sonam, un monaco residente in India, citando fonti all’interno del Tibet, ha fatto sapere che «la folla, attorno alle 7 di sera, ha marciato fino al locale ufficio del governo cinese per chiedere la restituzione del corpo, ma le autorità hanno severamente vietato a ogni singolo monaco o laico di rendere visita all’abitazione di Kunchok e di riunirsi in preghiera».

Sembra che tuttavia i tibetani siano determinati a portare avanti la loro richiesta. «La folla dei tibetani ha deciso che se i cinesi continueranno a impedire ai monaci e ai laici di eseguire i riti funebri, si riunirà con ruote di preghiera di fronte alla sede locale dell’ufficio di polizia e officerà la cerimonia». «I tibetani stanno comunicando agli abitanti di tutta la zona la loro decisione di riunirsi in uno speciale sit in di preghiera e protesta».

Intanto è giunta la notizia della condanna di alcuni monaci, rei di aver sostenuto le autoimmolazioni. Il regime pensa che con la repressione si possa fermare la serie di suicidi, che crea sgomento e critiche nella comunità internazionale. I monaci condannati sono Lobsang Sangay (19 anni), condannato a 6 anni; Asung (22), condannato a 2 anni di carcere; Yarphel e Namsay, entrambi diciottenni e condannati a 10 anni di prigione. I quattro erano stati arrestati alla fine dello scorso agosto in seguito a un raid delle forze cinesi nel monastero di Kirti, ma solo in questi giorni si è diffusa la notizia della condanna.

«Non conoscevamo il motivo della loro detenzione – spiegano i monaci in esilio Kanyak Tsering e Lobsang Yeshi a Radio Free Asia – , fino a quando alcune fonti locali hanno riferito che sono sospettati di coinvolgimento in altre tre autoimmolazioni». Molti dei tibetani che dal 2008 a oggi hanno scelto di darsi fuoco per protestare contro il regime cinese, erano monaci di Kirti.

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