Prima l’intransigenza di Marine Le Pen, poi l’approvazione definitiva al divieto per le donne di indossare il burqa integrale nei luoghi pubblici. Le vignette satiriche della rivista Charlie Hebdo che si prendevano gioco di Maometto, la rabbia di piazza, la stupefacente linea oltranzista seguita dalla gauche, quando tutti credevano che la guerra al terrorismo fosse un affare di destra.
La Francia ha attaccato l’Islam. L’Islam ha risposto, e sta continuando a rispondere. Mentre monsieur Hollande da qualche mese fa i conti con i suoi più stretti collaboratori sulle reali capacità del proprio esercito, impegnato dallo scorso gennaio in una estenuante battaglia contro le sette islamico-radicali maliane, nei corridoi di Quai d’Orsay si tirano le somme sul numero dei cittadini francesi tenuti in ostaggio nel mondo.
Dalla scorsa settimana il governo di Parigi rappresenta infatti il Paese con il maggior numero di connazionali rapiti: sono 15, tutti sequestrati in Africa e tutti negli ultimi 3 anni, soprattutto nella regione del Sahel e nei distretti occidentali del continente nero, per conto di organizzazioni legate o finanziate dall’Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico). Come la costola più massiccia del Boko Haram, il movimento Ansaru, già inserito nella black list anglosassone delle organizzazioni terroristiche a seguito del fallito blitz di Sokoto che lo scorso anno portò alla morte dell’ingegnere italiano Franco Lamolinara, e sospettato di essere dietro anche al sequestro compiuto nei giorni scorsi ai danni di un’intera famiglia francese in Camerun.
Il primato dell’Eliseo sugli ostaggi supera persino gli Stati Uniti (sono nove gli americani rapiti nel mondo), il Paese dell’imperialismo, dell’interventismo militare, il Paese dell’11 settembre e delle Torri Gemelle, da sempre bersaglio di cellule terroristiche e criminali in Medio Oriente, Pakistan ed Afghanistan. Le operazioni delle truppe transalpine in Mali sono tuttavia soltanto una conferma della linea ferma intrapresa dalla Francia verso il fondamentalismo e l’integralismo musulmano. I rapimenti sembrano essere una reazione di cellule jihadiste che ha radici ben piu’ profonde: vogliono colpire la Francia nel suo cuore e il timore di una recrudescenza dei sequestri resta alto.
Tant’è che rappresentano il core business di gran parte delle cellule islamiche africane, un lavoro sporco dal quale queste ricavano ingenti ricavi finanziari, sfiorando cifre a nove zeri essenziali per alimentare e rivitalizzare gli animi della cosiddetta ”Guerra santa”.
In Mali Hollande ha scansato gli equivoci del “flanby” (dalla marca di un budino al caramello, come l’hanno soprannominato) e ci ha voluto mettere la faccia, così come il suo predecessore, Sarkozy, fece in Libia e nell’ex colonia ivoriana, in perfetto made in ‘Françafrique’.
Una prova di forza che a Parigi ha ridato luce sul piano internazionale,oscurando tuttavia la stabilità di migliaia di propri cittadini in giro per il mondo. E’ lo scotto da pagare quando si decide di lanciare una guerra contro i figli di Al Qaeda. Il nodo, ora, è capire se Francois Hollande riuscirà a reggere la botta (anche economica) di un attivismo militare, tanto cospicuo quanto rischioso per la sua popolazione.
Un’anticipazione l’ha forse fornita di recente lo stesso ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian durante un’intervista al New York Times, ammettendo di essere tutto, fuorché un esperto di guerre: “Servono maggiori investimenti nei comparti speciali e di intelligence. Oggi in Mali disponiamo solo di due droni e tutto cio’ e’ completamente incomprensibile”.