In Africa cresce il business della armi
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In Africa cresce il business della armi

Il commercio di armamenti convenzionali prospera, da Algeri a Cape Town. E anche su questo mercato ora c’è l’ombra della Cina. [Davide Maggiore]

In Africa cresce il business della armi
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19 Marzo 2013 - 15.15


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di Davide Maggiore

Nel mondo in armi l’Africa fa – purtroppo – la sua parte. Il prestigioso Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha diffuso il suo rapporto sul commercio di armi convenzionali nel mondo, e il dato – relativamente rassicurante – che vede ‘solo’ il 9 per cento di esse arrivare in Africa assume una luce ben diversa, se confrontato con quanto accadeva mei cinque anni precedenti. Tra il quinquennio 2003-2007 e quello 2008-2012, infatti, le importazioni di armi nel continente sono cresciute del 104%. L’Africa, insieme all’Asia, è dunque uno dei ‘nuovi’ mercati delle armi, nel momento in cui, invece, in Europa e persino nel travagliato Medio Oriente il flusso – almeno ufficialmente – è in fase calante.

Il raddoppio dell’import africano, in realtà, non è dovuto alle regioni subsahariane (in cui comunque si è registrata una crescita del 5%), quanto all’area del Maghreb, che ha fatto segnare un impressionante + 350%. Non un caso, dunque, che insieme al Sudafrica (la più sviluppata economia del continente) ai primi posti della classifica ‘africana’ stilata dal Sipri vi siano Marocco e Algeria. Due Paesi che – va ricordato – pur essendo rimasti relativamente immuni dal contagio della ‘Primavera araba’ sono direttamente o indirettamente coinvolti nei conflitti e nelle tensioni regionali: l’Algeria è una pedina importante della crisi maliana, mentre il Marocco continua ad occupare gran parte del Sahara Occidentale, rivendicato dai guerriglieri del fronte Polisario, a favore del quale si schiera – dal punto di vista diplomatico – la stessa Unione Africana.

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Nel periodo considerato, l’Algeria, passata dal 22mo al 6° posto generale per armamenti ricevuti, ha visto le importazioni crescere, per quanto riguarda questa specifica voce, del 277 per cento. Tra i fornitori dell’amministrazione di Abdelaziz Bouteflika spicca la Russia di Putin: tra aerei da combattimento, sottomarini, missili terra – aria e carri armati, la più grande tra le ex repubbliche sovietiche ha fornito ad Algeri il 93 per cento del materiale bellico importato. Ma anche la Germania e la Cina hanno dato il loro – più limitato – contributo. Un vero ‘boom armato’ è invece quello del Marocco: + 1460 per cento, con un numero considerevole di consegne avvenute proprio tra 2011 e 2012. Le armi arrivate anche da Stati Uniti, Olanda, Francia e Cina hanno fatto del governo di Rabat il 12mo importatore del quinquennio, mentre era 69mo secondo i precedenti dati del Sipri.

Per quanto riguarda l’Africa a sud del Sahara, è Pretoria a giocare il ruolo principale, sia pur con dati contrastanti: nonostante da solo totalizzi il 24 per cento delle importazioni di materiale bellico nella regione, il Sudafrica – che ha concluso da pochi anni un riammodernamento delle proprie forze armate – ha visto il suo ‘giro d’affari’ in questo settore calare del 40 per cento rispetto al 2003-2007. Restano comunque a distanza, nella classifica dei paesi ‘armati’, Uganda e Sudan, che raccolgono rispettivamente il 15 e il 12 per cento delle consegne a sud del Sahara. Ad essere differenti – tra i due regimi autoritari della regione orientale – sono semmai le tendenze. Al moderato calo sudanese (un – 29% dovuto probabilmente anche alla fine ufficiale della guerra per il controllo di quello che oggi è il Sud Sudan) fa infatti da contraltare la corsa agli armamenti ugandese, che l’istituto di Stoccolma traduce in un dato a 4 cifre: +1200%.

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I dati di questo ‘commercio mortale’ risentono anche, almeno in parte, delle rinnovate tensioni all’altro estremo del continente, quello occidentale. La regione ‘pesa’ ancora poco nei libri contabili dei grandi mercanti ufficiali di armi (1% del totale), ma le quantità di materiale consegnato – lo si vede confrontando i due ultimi rapporti – sono cresciute del 50%. Anche qui, il peso di una delle economie trainanti della regione (la Nigeria) è notevole, e tuttavia anche il Mali ha utilizzato forniture recenti (in particolare veicoli corazzati di produzione bulgara) nel conflitto del 2012-2013.

L’ultimo elemento che emerge esplicitamente dai dati del Sipri riguarda il peso della Cina, che globalmente rientra tra i cinque principali Stati esportatori di armi per la prima volta dalla fine della guerra fredda. Sebbene il centro degli interessi di Pechino siano altri Paesi asiatici (il Pakistan su tutti), anche gli apparati bellici hanno contribuito alla vera e propria colonizzazione economica e commerciale che l’ex Impero di Mezzo sta portando avanti in Africa. Il 13 per cento dell’export ‘da guerra’ cinese va infatti a rifornire arsenali africani.

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Guardando questi dati, tuttavia, non bisogna dimenticare che il rapporto svedese si concentra su sistemi e tipologie d’arma che non includono cosiddette ‘armi leggere’, fucili, pistole, munizioni di piccolo calibro e simili. Un genere di ‘articolo’ tanto diffuso quanto difficile da seguire nei suoi spostamenti, anche a causa dei traffici illeciti.

Citando un documento di Small Arms Survey, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Disarmo ha già fatto notare in passato che paradossalmente ci sono più informazioni, oltre che sugli armamenti pesanti, anche sulle testate nucleari e persino sulle armi chimiche, rispetto alle apparentemente meno letali armi leggere. Sono proprio queste ultime, però, a costituire il nerbo di molti conflitti africani, in particolare quelli cosiddetti ‘a bassa intensità’. E fuori dalle statistiche restano anche coltelli, machete ed altre armi ‘bianche’. Primitive e incontrollabili, certo, ma non meno letali, in particolare in Africa: basti pensare ai massacri del 1993-94 in Rwanda e Burundi.

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