In Bosnia, armi come in guerra. Allarme Nato
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In Bosnia, armi come in guerra. Allarme Nato

Un generale americano valuta che il «surplus bellico» ancora nascosto oscilli fra le 13 e le 18mila tonnellate e aggiunge: «E' una bomba a orologeria».

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20 Marzo 2013 - 14.10


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Non esiste un registro unico centrale, non ci sono controlli sufficienti e, soprattutto, il sistema clandestino è talmente ben rodato da far pensare che i dati a disposizione sono solo calcolati per difetto: la quantità di armi e munizioni in “eccedenza” rilevate in Bosnia-Erzegovina spinge la Nato a lanciare l’allarme per il “grave rischio di abusi” che sta correndo il Paese. Il generale statunitense Walter Lord ha confermato, in un’intervista rilasciata al Dnevni Avaz, che i surplus bellici sono calcolati fra le 13mila e le 18mila tonnellate. La Bosnia, prosegue, per questo motivo può essere considerata “una bomba a orologeria” pronta ad esplodere da un momento all’altro, “un luogo chiave per il contrabbando di armi ed esplosivi”.

L’attenzione dell’Alleanza atlantica è puntata anche sulla carenza dei controlli che, ad esempio, ricorda Lord, ha consentito la sparizione, pochi giorni fa, di un missile teleguidato di tipo Fagot dalla caserma di Mrkonjicgrad, un’arma capace di distruggere un carro armato, un aereo o un bunker a due chilometri di distanza. La responsabilità dei controlli è affidata alla Protezione civile dell’Entità della Federazione, che deve vegliare su migliaia di tonnellate di materiale bellico, e spesso non è in grado di verificare eventuali ammanchi. Secondo l’esperto balistico Berko Zacevic, alcuni anni fa erano state conteggiate 30mila tonnellate di munizioni nei depositi bosniaci, ma, aggiunge, “è difficile dire cosa sia successo nel frattempo in tutti i magazzini presenti nel territorio”.

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L’esperto punta il dito contro “certi circoli, che per ignoranza o per avidità si sono sempre rifiutati di mettere sotto adeguato controllo i depositi bellici”. Le poche persone poste a guardia delle baracche, osserva ancora Zacevic, non sarebbero capaci neppure di rispondere a un assalto condotto da gruppi ben organizzati, che quindi possono pianificare facilmente i furti. Un altro punto debole è rappresentato dalla quantità di esplosivi posti sotto il diretto controllo dell’amministrazione della Protezione civile: questi ultimi sono costituiti per lo più da materiale esplosivo rastrellato durante le operazioni di sminamento post-belliche. “E’ il primo materiale a cui potrebbero accedere dei gruppi terroristici – prosegue – perché nella catalogazione delle mine, nessuno ne controlla il peso, ma solo il numero. Puoi tranquillamente estrarre l’esplosivo al loro interno senza che nessuno se ne accorga, e versarci dentro qualunque altra cosa, ad esempio della sabbia”.

Il rischio di un fiorente contrabbando, dato da una giacenza di imprecisate proporzioni, fa il paio con un dato apparentemente opposto, diffuso dall’Istituto di statistica della Federazione, che testimonia un’ingente quanto “inspiegabile” importazione di armi nel Paese. L’anno scorso la Federazione ha importato armi per un valore di 4,6 milioni di marchi convertibili, poco meno di due milioni di euro, e l’acquisto può essere collegato solo in minima parte al rinnovo delle armi in dotazione alla polizia, mentre le Forze armate sono addirittura impegnate in un’operazione di riduzione degli effettivi, e quindi delle armi necessarie per l’equipaggiamento. Secondo Armin Krzalic, direttore del Centro Studi per la sicurezza di Sarajevo, una spiegazione plausibile potrebbe essere quella di un’importazione legale per rimpiazzare materiale bellico detenuto illegalmente da gruppi clandestini.

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