da Ankara
Salvatore Lucente
Questi ultimi giorni in Turchia sono i giorni della commemorazione e del pianto, prima ancora che della protesta e dello sdegno. La morte di Ali Ismail Korkmaz due giorni fa è solo l’ultima di questa protesta, ma nasconde una storia terribile. Assalito e preso a bastonate da un gruppo di sostenitori Akp, il ragazzo è stato portato all’ospedale di Eiksehir, dove si è visto respingere dal medico Hasan Gulcu, anch’egli pro Akp, che richiedeva prima una denuncia in una centrale della polizia per poter intervenire.
Il diciannovenne Ali assieme agli amici va alla ricerca di un commissariato che registri l’aggressione, ma non ne trova. I giovani allora fanno ritorno all’ospedale, dove si vedono ancora una volta respinti, decidendo così di andarsene tutti a casa e ritentare il giorno dopo. Nella notte Ali peggiora rapidamente e viene ricoverato 19 ore dopo essere stato assalito, morendo dopo più di un mese di coma. Mentre gli assalitori non sono stati rintracciati, anche grazie ad un “buco” di alcuni minuti nel video delle telecamere di sorveglianza, niente è stato fatto al medico che ha negato il ricovero. Dopo la morte di Ali, è stato costretto a chiudere il proprio account twitter perché la cittadinanza mossa da ira e sdegno lo ha coperto di insulti.
Ieri durante i funerali in Antakya, la madre di Ali e la madre di Ethem Sarisuluk, il giovane morto ad Ankara per un colpo di pistola, si sono incontrate, tra le lacrime, ed hanno deciso di recarsi insieme, probabilmente la prossima settimana, a Lice, dove un altro giovane è morto due settimane fa a causa della repressione governativa. L’intenzione è mostrare la solidarietà del popolo turco verso il popolo curdo. È triste da dire, ma a volte la morte unisce (almeno quelli che restano).
I tre casi sono abbastanza diversi tra loro, un colpo di pistola sparato da un agente “per difendersi”, i raid dei sostenitori dell’Akp, i jandarma che aprono il fuoco sulla folla, ma mostrano il sentimento di assoluta solidarietà che pervade le opposizioni in tutto il paese, in una resistenza che lontano da Istanbul assume aspetti ancor più radicali.
Intanto i leaders del movimento Taksim Solidariety fermati lunedì hanno vinto un’altra battaglia, uscendo indenni ieri notte dal processo che li vedeva coinvolti per associazione illegale e terrorismo. Altro confortante segno che mostra come il partito di Erdogan non ha ancora esteso il proprio controllo su tutti i centri del potere. Ci sta provando, come ha fatto tre giorni fa con un colpo di mano legislativo che estromette l’ordine degli architetti, fortemente pro Gezi durante le proteste, dalle decisioni in merito ai piani urbanistici nelle città.
Intanto oggi Sirri Sureyya Onder, leader del Bdp e in prima linea nelle proteste, da tutti indicato come prossimo candidato unitario delle opposizioni a governatore di Istanbul, ha raccontato in una conferenza stampa parlamentare una vecchia storia che aiuta a comprendere la complessità del momento in Turchia. La storia racconta di come uno straniero, accolto da una famiglia in un villaggio dell’Anatolia, si svegli di notte ed esca fuori dalla casa per andare nel bagno comune. Davanti al bagno trova però un grosso cane che inizia a ringhiare, e così rientra in casa. Più tardi riprova ancora, trovandosi a dover fronteggiare lo stesso cane che ringhia. Si guarda intorno e vede un forno abbandonato, vicino alla casa: non può più trattenersi e la fa lì dentro, coprendo tutto con rami e foglie. Dopo una settimana il padrone di casa lo manda a chiamare, chiedendogli come sia possibile che dopo esser stato ospite una sola notte in casa sua ora tutta la casa ha un odore insopportabile, e lo straniero allora risponde loro che fino a quando non avrebbero tolto quel cane ringhioso posto a guardia del bagno, non si sarebbero liberati dal cattivo odore. La chiosa di Sureyya è stata questa, se non farete nulla in maniera democratica per risolvere la situazione, continuerete a sentire l’odore della resistenza.