Senza prove, Kerry alla guerra
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Senza prove, Kerry alla guerra

Il segretario di Stato Usa, come i cecchini di ieri, «spara» sugli ispettori Onu e ammonisce Ban Ki-moon: osservatori inutili.

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27 Agosto 2013 - 18.22


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da Gerusalemme

di Michele Giorgio

Il segretario Stato Usa John Kerry ha pronunciato ieri sera di fatto una di dichiarazione di guerra, rivolgendosi ai giornalisti. «La disponibilità del governo siriano a fare ispezionare i siti è tardiva – ha ripetuto – abbiamo le prove dell’uso di armi chimiche su larga scala. Il presidente Obama ritiene che chi le ha usate deve essere chiamato a risponderne. Assad nasconde la verità. Il segretario dell’Onu Ban Ki moon ha detto che ci saranno le ispezioni, ma queste ispezioni non determineranno chi ha usato le armi».

E ha aggiunto: «Il mondo ha chiaro a chi attribuire le responsabilità». Ha chiaro? Quando muovono le leve del comando mentono spudoratamente, confermando che dei risultati dell’ispezione a Washington non importa, la decisione sembra già presa. Solo lontani dal potere ritrovano la dignità perduta. E’ vero anche per l’ex Segretario di stato Colin Powell che sulla Siria ha suggerito all’Amministrazione Obama «di assumere un ruolo più intelligente». «Non possiamo andare in giro pensando di poter davvero cambiare le cose» ha detto Powell commentando alla Cbs l’ipotesi di un intervento militare americano in Siria, in risposta a un presunto utilizzo di armi chimiche da parte delle forze agli ordini del presidente Bashar Assad.

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Ricordate le bugie di Powell? Quando nel 2003 con foto satellitari, grafici e disegnini dimostrò in modo «inconfutabile» il possesso da parte di Saddam Hussein di «armi di distruzione di massa» che in realtà, come lui ben sapeva, non esistevano. Il passo successivo fu l’invasione anglo-americana dell’Iraq, con le conseguenze che ben sappiamo. Dieci anni dopo Barack Obama, vero o non vero l’uso siriano di armi chimiche, si prepara a lanciare un nuovo attacco militare contro un Paese arabo, dopo la guerra del 2011 in Libia. Il gioco vero ieri si svolgeva in Giordania, lontano dai tavoli delle diplomazie e dall’Onu. Con la riunione che il capo degli Stati maggiori riuniti degli Usa Martin Dempsey e il comandante del Centcom, Lloyd Austin, hanno avuto con i colleghi di Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Canada e Italia. Un «consiglio di guerra» a tutti gli effetti.

Si è deciso per l’intervento militare e per l’annullamento della Conferenza di Ginevra, forse l’unica strada per una soluzione politica. Ieri gli ispettori dell’Onu cercavano alla periferia di Damasco le prove dell’uso del gas nervino con il quale il 21 agosto il regime avrebbe ucciso almeno 355 siriani, tra i quali molti bambini. Non hanno potuto fare molto perché «cecchini» appostati in zona hanno impedito il transito ai veicoli delle Nazioni Unite. Tutti però sanno che gli esiti di quelle indagini è del tutto ininfluente sulla decisione già presa di attaccare. Non conta nulla la fiducia del Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon sulla possibilità che gli esperti delle Nazioni Unite possano raccogliere elementi in un senso o nell’altro. «Troppo tardi» hanno fatto sapere Washington e Londra, perché il regime «potrebbe avere eliminato le prove dell’attacco compiuto». Nessuno indaga, naturalmente, sugli agenti chimici che sarebbero stati ritrovati nelle gallerie sotterranee scavate dai ribelli anti-Assad proprio nell’area di Ghouta e Johar.

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L’attacco ci sarà, sul modello non di quello del Kosovo, come è stato detto nei giorni scorsi, ma di quello in Sudan e Afghanistan, nel 1998, dopo gli attentati di al Qaeda alle ambasciate americane in Africa. Oggi i qaedisti sono «dalla parte giusta», perché combattono contro Assad. Dell’intervento sono peraltro sicuri gli israeliani. Gli Stati Uniti stanno preparando una base legale per ricorrere alla forza in Siria senza passare per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riferiva ieri il Jerusalem Post. I servizi segreti di Tel Aviv già due giorni fa avevano fatto sapere ai giornali locali che la Marina statunitense farà uso di missili “Cruise” per portare a termine un attacco devastante ma di breve durata e limitato a pochi obiettivi, tra i quali le basi della Quarta Divisione Corazzata, guidata da Maher Assad, fratello del presidente e responsabile, secondo le fonti, dell’uso di armi chimiche a Ghouta.

E più dell’imposizione di una costosa “no-fly zone” è probabile la distruzione degli aeroporti militari e degli aerei da combattimento siriani. Ciò eliminerebbe la superiorità aerea delle forze governative a vantaggio dei ribelli che, peraltro, dicono di aver ricevuto nelle ultime ore 400 tonnellate di armi – pagate dai petromonarchi sauditi e qatariori – che includono razzi anticarro tra i più sofisticati.

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Israele insiste molto per un attacco alla Siria. Da parte sua l’Iran parla di “linea rossa” riguardo l’attacco alla Siria. Ci saranno «dure conseguenze», ha avvertito il vice capo di stato maggiore delle Forze armate iraniane, Massoud Jazayeri. La Russia protesta, denuncia l’intenzione di attaccare la Siria e il naufragio di Ginevra 2. Pochi però credono che Mosca arrivi al punto da opporsi sino in fondo ai piani americani, fino alla rottura completa delle già difficili relazioni con Barack Obama.

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