Usa, lo stato federale chiude i battenti
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Usa, lo stato federale chiude i battenti

Non c’è accordo tra repubblicani e democratici su Obamacare e finanziamento della macchina statale. Da oggi 800mila licenziamenti forzati, musei e uffici chiusi.

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1 Ottobre 2013 - 09.07


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«Questo è un ricatto. Il congresso è irresponsabile», sono le parole del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, alla mezzanotte del 30 settembre. Il congresso non ha trovato un accordo sul rifinanziamento della macchina statale e lo stato federale dovrà chiudere i battenti: musei, parchi, uffici dovranno chiudere in tutto il Paese. Ma la mazzata vera arriva con il congedo forzato di oltre 800 mila dipendenti federali. A rischio anche gli approvvigionamenti delle truppe militari all’estero. La vera questione dello scontro tra repubblicani e democratici è la Obamacare, la riforma sanitaria.

I conservatori del Grand old Party non la vogliono. Da anni cercano di impedire la sua applicazione. Ma la riforma, che dovrebbe facilitare l’accesso alla sanità per 35 milioni di americani, sarebbe dovuta entrare in vigore proprio il 1 ottobre. I repubblicani hanno forzato la mano per l’ennesima volta, chiedendone lo slittamento di un anno. I democratici hanno risposto un secco no, non cendendo a quello che considerano un gravissimo ricatto istituzionale. La riforma sanitaria è necessaria ai cittadini americani, insistono, e va resa effettiva. Un braccio di ferro che però paralizza il potere legislativo.

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«Non smetteremo di pagare le pensioni. L’assistenza ospedalieri a poveri e anziani (Medicare, Medicaid) non cessa», assicura Obama, che ha comunque qualche margine di manovra sui fondi esistenti. «La posta verrà distribuita. Le funzioni che garantiscono la nostra sicurezza saranno preservate, compresi i controllori di volo», continua. Ma poi arriva la scure dei tagli dei serizi e annuncia: «Molti pagamenti di stipendi rallenteranno, così come i permessi di costruzione, compresi quelli nelle aree devastate da calamità naturali. Chiuderanno i parchi naturali, la Statua della Libertà, i musei dello Smithsonian».

Anche i reduci militari dovranno accontentarsi di un’assistenza ridotta». I tribunali federali avranno soldi ancora per una decina di giorni, poi partirà la serrata anche per loro. Insomma, lo “shutdown” tanto temuto è arrivato e la macchina amministrativa degli Usa è allo stallo più totale. Almeno fino alle 9.30 di questa mattina (le 15.30 in Italia), quando l’aula del Senato si aprirà di nuovo e una nuova seduta inizierà. Nella notte sono continuate le trattative per superare l’empasse. Ma i mercati finanziari stanno già tremando e si teme una grave minaccia alla ripresa economica del Paese.

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Una battaglia politica così dura non poteva concludersi senza reciproche accuse. Lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, ha risposto poco dopo: «Il popolo americano non vuole lo shutdown, così come non lo voglio io». E tuttavia, ha aggiunto, la legge di riforma sanitaria di Obama «avrà un impatto devastante: qualcosa deve essere fatto». Il punto è proprio questo: per i Repubblicani l’ingresso a regime dell’Obamacare, che non ha convinto molti americani, è l’occasione giusta per ridare corpo e speranze ad un partito a lungo in difficoltà. Il momento è propizio perché il presidente Obama è ai minimi di popolarità degli ultimi mesi e uno stop anche parziale alle attività federali causerà inevitabili ripercussioni sulla ripresa economica. D’altra parte, la scommessa dell’ala dura dei Repubblicani è rischiosa, perché l’opinione pubblica è ampiamente insoddisfatta dell’operato del Congresso (20% di gradimento, secondo l’ultimo sondaggio Cnn) e potrebbe imputare proprio al Gop le responsabilità di un eventuale protrarsi dell’impasse e dello stop all’erogazione di stipendi e servizi.

Dietro le quinte, placate le voci dei “falchi”, Democratici e Repubblicani sanno di dover riaprire il negoziato. Obiettivo, un punto di incontro fra le esigenze dell’Amministrazione Obama e quelle del Gop, che ritirerà fuori il quaderno dei “desiderata” più cari al proprio elettorato e alle lobby più vicine: via libera alla costruzione di una maxi Pipeline al Nord, altri tagli alla spesa federale, meno lacci e lacciuoli all’esplorazione del territorio per approvigionamento energetico; un rallentamento delle severe normative EPA sulla produzione di gas effetto serra; rubinetti chiusi per i finanziamenti al Consumer Financial Protection Bureau, l’ufficio federale a protezione dei consumatori. E magari una “limatina” al Medicare obamiano.

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Il tempo per arrivare a un compromesso, tuttavia, non è molto e paradossalmente lo stallo potrebbe nuocere ai Repubblicani precedente, perché 17 anni fa, l’ultimo shutdown parziale portò il Pil a perdere lo 0,7% in sei mesi. Essere addidati davanti a milioni di americani quali responsabili di una nuova contrazione dell’economia non è un rischio trascurabile, anche se dovesse consentire di riscaldare i cuori della base repubblicana più vicina ai Tea Party, e potrebbe portare in tempi rapidi a nuovi impegnativi test sulla coesione del gruppo parlamentare Gop alla Camera, un passaggio difficile per lo stesso speaker John Bohner.


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