Sono sempre loro: BNP Paribas e Deutsche Bank. Già ai vertici delle operazioni a sostegno dell’export militare italiano,
figurano anche tra i gruppi bancari europei più attivi nel finanziare
l’industria degli armamenti nucleari. Sono preceduti solo dalla
britannica Royal Bank of Scotland nella lista delle banche europee “most
heavily involved” (più pesantemente coinvolte) nel supporto ai
produttori di armi nucleari. Lo documenta il rapporto “Don’t Bank on the bomb” (qui in .pdf) diffuso ieri a livello mondiale dalla campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) di cui la Rete Disarmo è partner italiano.
La ricerca – che è stata sviluppata da IKV Pax Christi Olanda e la società di ricerche Profundo per la coalizione internazionale ICAN – fa seguito ad un’analoga ricerca pubblicata lo scorso anno: riporta le 298 istituzioni finanziarie pubbliche e private (soprattutto banche, assicurazioni, fondi pensione ecc.) che nell’ultimo quadriennio hanno investito circa 314 miliardi di dollari a favore di 27 compagnie ed industrie internazionali coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione delle armi nucleari.
La componente più consistente è rappresentata dalle istituzioni finanziarie con sede negli Stati Uniti (ben 165 su 298) che sommate alle 9 del Canada hanno movimentato quasi 223 miliardi di dollari. Quelle basate in Europa sono 65 con finanziamenti complessivi per oltre 73 miliardi di dollari; 47 quelle in Asia e Oceania con movimentazioni di oltre 17 miliardi di dollari; le 10 con sede in Medio Oriente
hanno operato per 958 milioni di dollari e una in Africa per circa 6,2
milione di dollari. “In altri paesi dotati di armi nucleari – come la Russia, la Cina, il Pakistan e la Corea del Nord
– la modernizzazione delle forze nucleari è svolta principalmente o
esclusivamente da agenzie governative” – avverte il rapporto (p. 29) e
pertanto le istituzioni finanziarie di questi paesi non sono prese in
considerazione.
Le prime dieci istituzioni per prestiti e
finanziamenti alle industrie produttrici di sistemi nucleari hanno tutte
sede negli Stati Uniti: si tratta di State Street (20,4 miliardi di dollari), Capital Group of Companies (19,5 milardi), Blackrock (19,3 miliardi), Vanguard Group (13,7 miliardi), Bank of America (12,2 miliardi), JP Morgan Chase (11,9 miliardi), Evercore Partners (8,6 miliardi), Citi (8,2 miliardi), Goldman Sachs (6,6 miliardi) e Fidelity Investments (6,2 miliardi).
Tra le banche con sede in Europa e ampiamente operative in Italia, il rapporto segnala il gruppo francese BNP Paribas
che svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti a 20 ditte
internazionali produttrici di armamenti nucleari per un valore
complessivo di oltre 5,36 miliardi di dollari. E la tedesca Deutsche Bank
che svolge servizi o offre prestiti e finanziamenti ad una decina di
ditte produttrici di sistemi nucleari per oltre 4,76 miliardi di
dollari.
“Proprio questi due gruppi bancari – commenta la Campagna di pressione alle ‘banche armate’
– sono anche i più attivi nelle operazioni di sostegno all’export di
sistemi militari convenzionali dal nostro paese. Nonostante le reiterate
richieste della nostra campagna, questi due gruppi non si sono ancora dotati di direttive rigorose e di rapporti trasparenti circa tutta la loro attività di finanziamento e servizi all’industria bellica”.
Tra
i principali gruppi bancari europei che offrono prestiti o
finanziamenti alle ditte internazionali produttrici di sistemi nucleari,
il rapporto segnala anche le britanniche Royal Bank of Scotland (oltre 5,6 miliardi di dollari), HSBC (4 miliardi), Barclays (3,4 miliardi), i gruppi francesi Crédit Agricole (4,5 miliardi), AXA (3,6 miliardi) e Société Générale (3,3 miliardi), la svizzera UBS (3,3 miliardi) e la tedesca Commerzbank (2,4 miliardi): gran parte di queste banche sono anche attive nei servizi finanziari all’esportazione di armi italiane..
“I
clienti di queste banche dovrebbero rendere chiaro ai propri istituti
di credito che non vogliono assolutamente che i propri risparmi siano
utilizzati per finanziare l’industria militare nucleare” – commenta Daniela Varano,
del coordinamento internazionale di Ican. “E’ importante e urgente,
quindi, che i correntisti scrivano a queste banche per chiedere
direttive che escludano il finanziamento alle industrie produttrici di
armi nucleari e affinché gli istituti di credito rendano trasparente la
propria partecipazione e i servizi che offrono alle aziende che
producono sistemi sia civili che militari” – conclude Varano.
Tra le aziende che erano coinvolte nella produzione di armamenti nucleari e loro vettori il precedente rapporto di ICAN citava anche Finmeccanica,
la compagnia italiana di cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze
è il maggiore azionista. A seguito di quella pubblicazione,
Finmeccanica nell’agosto 2012 ha annunciato in una lettera di “non
essere coinvolta nella produzione di armi nucleari”. Ricerche
indipendenti degli autori del rapporto hanno confermato la scadenza dei
contratti relativi ad armi nucleari da parte del colosso militare
italiano proprio nel 2012. Ciò ha portato all’esclusione dalla lista
delle ditte, ma con l’impegno di un continuo monitoraggio e la ricerca
di conferme da parte dell’azienda, per non dover giungere in futuro a
inserire nuovamente Finmeccanica nella lista di produttori/sviluppatori
di armamento nucleare.
Questa scelta ha ovviamente inciso sulla presenza nel rapporto di istituti di credito del nostro Paese. Nella precedente edizione
del rapporto, infatti, venivano elencate 13 banche italiane o aventi
sedi principali in Italia che contribuivano al finanziamento di aziende
produttrici di armamenti nucleari. Essendo stata esclusa Finmeccanica,
solo due figurano nel nuovo rapporto: si tratta di Intesa Sanpaolo e
UniCredit.
Intesa Sanpaolo è presente per aver effettuato
prestiti o finanziamenti a Bechtel, Boeing, EADS, Fluor, Honeywell
International, Northrop Grumman e Thales per un valore complessivo di 819 milioni di dollari.
Queste operazioni – si rileva dal rapporto – sono state in gran parte
effettuate prima del dicembre 2011 quando la banca, capitanata dal
presidente Bazoli, ha emesso una direttiva che esplicita tra l’altro “il
divieto di porre in essere ogni tipo di attività bancaria connessa alla
produzione e al commercio di armi controverse e/o bandite da trattati
internazionali e in particolare le armi nucleari, biologiche e chimiche,
le bombe a grappolo e a frammentazione, le armi contenenti uranio
impoverito e le mine antipersona”.
UniCredit è finita
nella lista per aver effettuato prestiti finanziamenti a Eads, Honeywell
International, Northrop Grumman, Thales e ThyssenKrupp per un valore
complessivo di 1,43 miliardi di dollari. “Una dichiarazione di
posizione di UniCredit – segnala il rapporto – afferma che UniCredit, si
astiene dall’intrattenere rapporti di finanziamento con società che
producono, curano la manutenzione o commerciano armi controverse o non
convenzionali quali le armi nucleari, biologiche e chimiche di
distruzione di massa, bombe a grappolo, mine e uranio 238”. (vedasi
anche qui)
“L’attuale applicazione della direttiva di UniCredit – si legge nel
rapporto Ican – non ha precluso la banca dall’investire in numerose
aziende produttrici di armi nucleari. La policy, inoltre, è formulata
genericamente e manca di chiarezza rispetto all’ambito di applicazione e
di implementazione” (p. 78).
L’unica altra banca italiana citata nel rapporto è Banca Popolare Etica, ma – attenti bene – per una buona notizia.
L’istituto di credito è infatti inserito – insieme ad altri undici –
nella “Hall of Fame” delle banche che hanno adottato, implementato e
pubblicato una “policy” in grado di prevenire in maniera completa e complessiva qualsiasi coinvolgimento finanziario con aziende che producono armi nucleari.
Diversamente dalle armi chimiche e biologiche, quelli nucleari sono gli unici armamenti di distruzione di massa non ancora messi al bando
dal diritto internazionale nonostante sia chiaro ed accettato da tutti
che per loro stessa natura possono operare uccisioni indiscriminate. Lo
stesso Presidente degli Stati Uniti (il maggiore Stato possessore di
armi nucleari) Barack Obama ha affermato nei mesi scorsi che “finché
esisteranno armi nucleari, non saremo completamente sicuri”.
E’ per questo che Rete italiana per il Disarmo chiede al Governo italiano
di sostenere le iniziative internazionali per la messa al bando delle
armi nucleari, come l’Iniziativa Umanitaria che andrà a breve in
discussione alle Nazioni Unite.
L’idea è stata avanzata l’anno scorso dalla Croce Rossa Internazionale (ICRC) e portata avanti principalmente da Norvegia e Sudafrica. “L’intenzione – spiega Lisa Clark di Beati i Costruttori di Pace
– è convincere i Paesi riluttanti per fedeltà atlantista a sostenere il
disarmo nucleare non più per motivazioni ‘ideologiche’ di stampo
pacifista, ma su basi pragmatiche di carattere eminentemente umanitario:
le armi nucleari vanno bandite semplicemente perché, se venissero
usate, gli Stati non potrebbero far fronte alla catastrofe umanitaria
che ne seguirebbe”. Una ragione in più per cominciare a far pressione su
quelle banche, attive anche nel nostro paese, che continuano a
finanziarne la produzione e lo sviluppo.
Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org