Poche ore fa è arrivata una notizia, una buona notizia anche se parziale: la Corte di Cassazione di Ankara ha annullato la sentenza di condanna all’ergastolo per Pinar Selek (43 anni), sociologa, femminista e attivista per i diritti umani rifugiata dal 2009 in Francia. Ma dovrà subire un altro processo.
Prima di trovare rifugio in Francia, Pinar aveva trascorso tre lunghissimi e dolorosi anni nelle carceri turche con l’accusa di aver partecipato, nel 1998, ad un attentato in un mercato di Istanbul che provocò la morte di 7 persone e un centinaio di feriti, e di essere membro del Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK). In realtà, una perizia del 2003, attribuì quell’esplosione ad una fuga di gas, ma ciò nonostante il marchio di ‘terrorista’ portò a un processo-farsa in un tribunale turco che, a gennaio del 2013, la condannò all’ergastolo.
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Il vice-presidente dell’Associazione Francese di Sociologia, Bruno Cousin ha dichiarato che Pinar «Fu arrestata perché mentre lavorava con la minoranza kurda si rifiutò di fornire alla polizia i nomi delle persone che aveva intervistato e quindi si è giustamente rifiutata di diventare un informatore della polizia» Importante, per Pinar, è stata in questi anni la solidarietà di tante e tanti e le mobilitazioni a livello internazionale a sua difesa. Tutta la sua vita, sia pubblica che privata, è stata modellata secondo il suo motto: «La vita è l’attività accademica più importante.»
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Oggi l’annullamento di una condanna al carcere a vita non solo ingiusta ma profondamente politica che caratterizza in modo esplicito le modalità della giustizia turca. Pur tuttavia, la notizia è buona solo in parte perché l’accanimento della giustizia turca contro Selek non è finito, la cancellazione dell’ergastolo non renderà di nuovo del tutto libera Pinar. Probabilmente non potrà più subire la condanna a vita, ma dovrà comunque subire un nuovo processo presso un tribunale della città del Bosforo, in una data ancora da definire. E noi, tutti e tutte, continueremo a stare al suo fianco.