Mossul: tutto comincia in Siria
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Mossul: tutto comincia in Siria

La sconvolgente solitudine dei giovani iracheni che si oppongono alla barbarie di al-Baghdadi e alla cacciata dei cristiani.

Mossul: tutto comincia in Siria
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22 Luglio 2014 - 18.12


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“Siamo tutti cristiani”: con questo slogan molti giovani iracheni hanno avviato sui social network il loro tentativo di opporsi alla ferocia dei miliziani di al-Baghdadi che hanno cacciato i cristiani da Mossul, sperando di porre termine a una convivenza millenaria. Ma perché richiamare l’attenzione di un mondo intorpidito e distratto con questa feroce e devastante decisione?

Perché il progetto che hanno in mente, non solo i terroristi ma anche molti altri, è proprio questo: cancellare gli stati e sostituirli con delle aree omogenee, quindi governate secondo le regole del tribalismo. Sarebbe la fine del Levante e l’inizio di un’epoca orribile, basata sul principio che noi europei conosciamo bene, il “cuius regio eius religio”. Una scelta strategica che propone il Medio Evo come via d’uscita dalla richiesta araba di incontrarsi con la modernità e che l’ISIS ha subito venduto al pubblico “antagonista” con lo slogan “noi mandiamo in soffitta gli stati inventati dal colonialismo”.

I giovani musulmani che hanno deciso di dire di no, con coraggio, a questa orribile operazione appaiono tanto coraggiosi e consapevoli quanto isolati. Chi si è levato in favore? Chi parla di loro? L’idea di decomporre il Medio Oriente in tante micro entità piace molto, e non solo in loco. Ognuno potrebbe pensare di fermare le mire egemoniche dell’altro comprandosi la fedeltà di una tribù, o mettendo un tiranno a capo di una zona. Ma creare questi territori “omogenei” comporta milioni di profughi, una deportazione di massa che nell’area siro-irachena oggi riguarda circa dodici milioni di persone.

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Tutto infatti è cominciato in Siria, dove la trasformazione della rivoluzione contro Assad in “proxy war” ha visto convergere tutti, sauditi, qatarini, iraniani nel destrutturare rivolta e territorio, con una pulizia etnica che non ha precedenti. E Obama ha lasciato mollemente fare.

Così al-Baghdadi, la pistola in vendita del terrorismo locale, ha usato la compiacenza del regime: mentre quello cacciava milioni di sunniti dalla “pianura strategica” lui è stato assoldato per distruggere la rivoluzione, e impossessarsi con il placet di Damasco delle aree siriane liberatesi, così da consentire a Damasco di presentarsi al mondo come “baluardo contro il terrorismo”. Poi però, incredibilmente arricchito e irrobustito, è tornato in Iraq e con l’appoggio dei tremanti monarchi del Golfo ha preso Mosull, indispensabile agli iraniani per creare il loro impero ufficioso ma geograficamente collegato, da Tehran a Mediterraneo.

Ora al-Baghdadi gioca in proprio e minaccia tutti, sauditi, iraniani e quanti altri vi siano. La follia siriana ha liberato il “genio” che forse si è messo in proprio. Fermarlo forse è ancora possibile, ma la strada è una sola, tornare agli stati, indipendenti e sovrani. Ma per tutti i cittadini, non solo per le cricche legate ai potenti. E’ la sfida della Primavera, la Primavera tradita, in primis dall’Occidente. E da Obama.

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