Come è stato fatto con successo per i »diamanti insanguinati«, serve ora un impegno internazionale contro le »antichità insanguinate«, il traffico di reperti archeologici dall’Iraq e la Siria che è fra le principali fonti di finanziamento dello Stato Islamico.
L’idea, lanciata oggi dalle colonne del Washington Post, è quella di formare, magari nella città svizzera di Davos, un gruppo di rappresentanti di soggetti interessati (governi, case d’asta, musei, mercanti d’arte, assicuratori, porti franchi e collezionisti) per fissare uno standard comune che garantisca la provenienza lecita delle antichità. Proprio come i diamanti insanguinati finanziavano le guerre in Africa occidentale, oggi le antichità insanguinate sono una delle principali fonti di denaro dell’Is.
Basti pensare che, secondo il Guardian, gli Jihadisti dello Stato Islamico hanno ricavato 36 milioni di dollari soltanto dal sito siriano al-Nabuk. Non a caso l’appello del Washington Post non giunge da un archeologo, ma da un professore di diritto, Mark Vlasic, che è stato a capo della World Bank-Us Stolen Asset Initiative, una task force per recuperare beni di corrotti nascosti nei paradisi fiscali.
Ma Vlasic è anche pienamente consapevole del valore culturale dei beni sottratti. L’antica Mesopotamia, culla della civiltà, comprende oggi l’Iraq e parte della Siria orientale. Non si tratta soltanto di reperti fondamentali per la storia di questi due paesi, ma per tutta l’umanità. Fermarne il traffico, sottolinea Vlasic, significa »salvare vite e preservare il nostro patrimonio comune«.
In Iraq, scrive oggi su le Figaro la direttrice dell’Unesco, Irina Bokova, la distruzione di scuole, luoghi di culto e monumenti fa parte della stessa strategia del terrore che porta all’uccisione di uomini, donne e bambini, perchè vuole cancellare «l’identità e negare la sedimentazione di una storia millenaria».
«Questi attacchi contro i luoghi del sapere, la memoria e la cultura nutrono la spirale della vendetta e porteranno ad una destabilizzazione duratura della coesione sociale» – afferma Bokova in un articolo pubblicato nel giorno in cui si riunisce a Parigi la Conferenza sulla sicurezza e la pace in Iraq – «la protezione della cultura deve far parte di ogni strategia di pace degna di questo nome».