La cosa migliore della brutta serata di ieri è il risultato: contro una Croazia più forte, il pareggio è un punto guadagnato. La marcia nel girone resta quella necessaria alla qualificazione, sarà importante tenere a distanza la Norvegia e c’è da confidare nelle alterne vicende dei talenti croati, ma lo spareggio con gli scandinavi è lontano un anno, e si farà in Italia, nell’ultimo match del girone. Allora, sarebbe bello aver ritrovato qualcosa e qualcuno che sia più estetico, tecnico, veloce perché l’impressione di questa squadra è angosciante. Lo è stata tutta la serata, nel complesso, con cedimenti del senso civico che indignano più per la ripetitività che per la pericolosità: la solita esibizione del tifo balcanico e l’irrisolvibile dubbio di come sia possibile che non si riesca a far entrare una “mezza minerale” in uno stadio, e invece passano petardi e fumogeni.
In campo, giocavano loro. Senza riuscire a “violentare” la nostra area, ma dominando il resto del campo. Come valore oggettivo dei giocatori schierati, quella vista a San Siro è una delle Nazionali più modeste della nostra storia. Questa considerazione rende faticosa anche l’analisi: con il materiale a disposizione, era difficile immaginare una squadra decente. Per vari motivi, alcuni più strutturali e dunque seri, come la difficoltà degli attaccanti, in qualunque campionato o squadra essi giochino: non emergono, la concorrenza straniera li seleziona troppo in fretta, ma a loro manca il talento e la destrezza per farsi posto. Immobile e Zaza sono una coppia che è servita per dare l’esempio del sudore all’intero gruppo di aspiranti azzurri, dopo lo sfarinamento Mondiale, ma incarnano l’idea dell’emergenza, della lotta per rimediare l’assenza di classe. È un reparto che “convoca” giocatori sublimi, decisivi. Noi abbiamo poco e il meglio si è disperso: Rossi, Balotelli, Cerci, Insigne. Questa era la generazione che prometteva un presente che oggi non esiste, per motivi diversi. Ma se è possibile (con fortuna, pazienza, chissà cosa) recuperare qualcuno di questi assenti, va fatto: lo impone la mancanza di classe dei titolari di ieri. Intanto, El Shaarawy ha dato buonissimi segnali e il suo impatto nella partita è stato sostanzioso. Lui aggiunge intuizioni e pericolosità dagli esterni, e ce n’è un bisogno vitale.
Anche gli altri reparti mancavano invece dei migliori in qualità, ma sono situazioni rimediabili nel breve periodo: Pirlo, Verratti, Montolivo a centrocampo, dove Marchisio non riesce a vivere l’azzurro con lo stesso protagonismo che lo anima a Torino. E dove De Rossi si ridimensiona a compiti di presidio, quando invece certe situazioni lo chiamerebbero a parti maggiori: anche la sua carriera in azzurro – dopo 100 presenze – è stata un’ottava inferiore allo spartito giallorosso. Entrambi, in Nazionale, devono respirare accanto a Pirlo, acquistano senso dalla sua presenza: peccato, perché nei club sanno essere anche trascinatori. Candeva si è battuto in solitaria, ma la sua presenza nelle partite ricorda le lampadine di quei luna park di periferia, per citare una vecchia canzone di Tom Waits: si accendono e si spengono, così, sfriggendo e lasciando rimpianti anche nelle migliori serate.
Dietro, poi, mancavano Bonucci e Barzagli: i migliori. E mancavano un po’ di riserve, come Astori e Ogbonna. Questo ha costretto a rinunciare all’uso esterno del miglior terzino d’attacco di questi tempi oscuri, Darmian (pensa un po’), collocato sulla linea dei centrali: la squadra si è schiacciata dietro, subendo il palleggio croato, e Darmian ha dovuto subire gli arrivi in velocità di Perisic e Pranjic, mortificandosi. Nella ripresa, tornato laterale, anche se più cauto nella difesa a quattro, ha potuto duellare meglio, ma lì è mancato il lavoro di sostegno in copertura e in disimpegno dell’interno di centrocampo, con Soriano che ha patito l’esordio a freddo.
A parte l’intermittenza di Candreva, fino all’ingresso di El Shaarawy non c’era una zona del campo dove potessimo vincere un duello. L’Italia è sembrata misera in tutti i settori e in tutti i compiti, eppure sarebbe disonesto non attendere il recupero di qualche elemento di fondamentale personalità. Ma molto deve tentare il ct: Conte ha dato vigore e un certo modo di lavorare e vivere insieme i momenti (anche brutti) di ogni partita. Sembra aver persuasi i giocatori e permeato l’ambiente della sua profonda energia. Ma finalmente, un avversario di livello e di buona tecnica ci ha tolto dall’equivoco che in panchina fosse finito l’uomo della provvidenza, anche perché non ne esistono. I guai del calcio italiano sono profondi e chiamano a un lavoro lungo, serio, fantasioso che non riguarda solo il Ct, ma il discorso è lungo ed è già stato fatto e dopo una partita così è anche giusto rimanere sul campo: Conte deve aggiungere talento a questa squadra, deve cercare qualità anche nei minutaggi acerbi (Crisetig, Baselli: un tentativo, alla Soriano, anche per rafforzarli, per indicarli ai grandi club, perché è solo giocando lì, misurandosi con i concorrenti più bravi e competendo per gli obiettivi massimi che si formano i giocatori). Oppure può inventarsi trame che possano velocizzare la manovra.
L’Italia non sarà mai un club, che il tecnico può elevare ai massimi risultati con l’esaltazione della volontà, l’applicazione, il coraggio, l’allenamento ossessivo. Questa è una selezione, viene messa in campo in pochi giorni, e con troppe distrazioni. Bisogna scommettere sul talento, piegarlo alle regole, se è troppo dispersivo o maleducato. Cercare con curiosità, dubitare delle convinzioni: fummo felici (e criticati, anche qui) quando scrivemmo che il tentativo di Malta di inserire Candreva aveva certamente “disordinato” la squadra, ma era da fare, da provare, perché quei pochi talenti offerti dal campionato vanno messi in campo. E ci è piaciuto l’azzardo della ripresa, quella sofferenza indicibile per provare la difesa a 4, necessaria per allargare l’attacco e trovare posto a El Shaarawy (e chissà Cerci, o Berardi, o Gabbiadini, ritentare con Borini). Pian piano, quella mossa ha riportato su gli azzurri.
Se la critica è onesta, Conte avrà ancora un po’ di tempo per lavorare in serenità: la cosa triste di questa brutta serata, e di questa Nazionale mai così modesta nella qualità individuale, è che era davvero impossibile farla meglio. La Croazia ha giocatori titolari nel Real, nel Barcellona, nell’Atletico Madrid: nessun italiano giocherebbe lì (chi ci è andato, come Cerci, fa lo spettatore). Ogni partita rivelatrice è importante. Ma dobbiamo tornare a pensare e immaginare un calcio senza alibi, e a vivere il campo come un’opportunità, aggiungere stile al carattere.