Falluja, donne bottino di guerra
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Falluja, donne bottino di guerra

150 donne uccise dall'Isil perché rifiutano il matrimonio jihadista. Donne vendute al mercato del sesso per 10 dollari. [Giuliana Sgrena]

Falluja, donne bottino di guerra
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21 Dicembre 2014 - 09.37


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di Giuliana Sgrena

Donne bottino di guerra. Donne schiave del sesso, vendute per 10 dollari agli schiavisti dell’Isil (Stato islamico in Iraq e nel Levante).

E quelle che osano ribellarsi vengono uccise. L’ultimo massacro, denunciato dal ministro dei diritti umani iracheno, è avvenuto a Falluja, la cittadina alle porte di Baghdad, simbolo di martirio e di resistenza.

Giovedì scorso un jihadista, identificato con il nome di Abu Anas al-Libi, ha ucciso più di 150 donne e ragazze, alcune delle quali incinta, perché si rifiutavano di contrarre il matrimonio jihadista (Jihad al Nikah, ovvero jihad del sesso), un matrimonio temporaneo per soddisfare gli appetiti sessuali dei combattenti. Le donne massacrate sono poi state sepolte in fosse comuni nella periferia della città. Sempre a Falluja, la moschea di al Hadra al Mohammadiyyah è stata trasformata in una grande prigione dove sono stati richiusi centinaia di donne e di uomini. E le prigioni potrebbero proliferare visto che Falluja è chiamata la città delle cento moschee, ma certo non sono state costruite per diventare luoghi di detenzione. L’Isil sembra persino andare oltre la più ferrea applicazione della sharia.

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Considerare le donne bottino di guerra non è una novità, una fatwa che avallava questo trattamento era stata emessa dal leader algerino del Gia (Gruppi islamici armati) Ali Belhadj all’inizio degli anni ’90. Con la guerra civile in Siria lo sfruttamento delle donne a scopo sessuale è stata sancita da una fatwa dell’imam saudita Muhammad al Arifi. La fatwa aveva indotto ragazze, consenzienti o meno, a partire dalla Tunisia verso la Siria per contrarre il matrimonio jihadista e dare così il loro contributo alla guerra santa.
Ma è con la proclamazione del califfato di al Baghdadi che la violenza ha subito una nuova escalation. Le vittime sono soprattutto donne e bambini.

All’inizio di dicembre l’Isil ha diffuso un pamphlet in cui vengono indicati 27 consigli su come catturare e rendere schiave le donne per poi abusarne sessualmente. Un documento aberrante ma non sorprendente viste le testimonianze già raccolte dalle Nazioni unite. Tra le indicazioni: «stuprare le donne fatte prigioniere immediatamente» e l’autorizzazione a rapporti anche con giovani che non abbiano raggiunto la pubertà. Sono ammessi matrimoni jihadisti multipli anche con membri della stessa famiglia.

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Almeno 2.500 donne e bambini sono stati imprigionati e abusati sessualmente e poi buttati sul mercato degli schiavi. Questi mercati, che si trovano nell’area di al Quds a Mosul in Iraq e a Raqqa in Siria, sono diventati un modo per reclutare nuovi adepti del Califfato. Questi «schiavi» appartengono soprattutto alla minoranza yazida e vengono trattati come animali. Si tratta di una pulizia etnica. Nei momenti di maggiore violenza tra le diverse componenti etnico-confessionali nell’Iraq ancora sotto occupazione americana vi era stata una divisione etnica per quartieri, soprattutto a Baghdad, così come la minoranza cristiana è stata cacciata dal sud del paese, a maggioranza sciita, ma non si era mai arrivati a lanciare una campagna di pulizia etnica contro i non-arabi e i non-musulmani sunniti.

«La lista di violazioni e abusi perpetrati dall’Isil e dai gruppi armati a esso associati è sconvolgente, molti di questi atti costituiscono crimini di guerra o crimini contro l’umanità», sostiene l’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al Hussein.

Tuttavia, sebbene dal 2008 l’Onu consideri lo stupro crimine contro l’umanità e si sia impegnata a mettere fine all’impunità dei loro autori, raramente gli stupratori sono stati condannati.
Nei conflitti in corso è molto più pericoloso essere donna che essere un combattente.

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