Sono tutti Charlie sulla pelle degli altri
Top

Sono tutti Charlie sulla pelle degli altri

Alla manifestazione parigina organizzata dopo il sanguinoso attacco al periodico francese, erano presenti molti leader di Stato che predicano bene e razzolano male

Sono tutti Charlie sulla pelle degli altri
Preroll

Desk3 Modifica articolo

13 Gennaio 2015 - 11.42


ATF
di Andrea Falla

Prima di spiegare quali e dove siano le ipocrisie nell’immagine simbolo della marcia di Parigi, mi prendo tre righe per dire i motivi per cui NON volevo scrivere nulla su Charlie Hebdo. Punto 1, per la mia giovane età non ritengo di avere la conoscenza e l’esperienza giusta per affrontare un tema così delicato, sui cui hanno già scritto molti giornalisti con attributi ben più grandi dei miei. Punto 2, non sono una persona molto religiosa, fattore che considero fondamentale, quantomeno per capire cosa frulla nella testa di chi arriva ad uccidere per una vignetta contro il proprio profeta. Punto 3, quando racconti per giorni l’orrore e la paura che vengono scatenate da vicende del genere, il vero desiderio è quello di non parlarne più, sperando dentro il proprio cuore che sia stato soltanto un incubo. Ma le cose non sono andate così.

Restando in tema di fede, come è impossibile non rispondere alla chiamata del Signore, un giornalista non riesce ad evitare di scrivere quando ‘qualcosa’ inizia a muoversi nella sua testa. A stimolare le mie dita è stato un lavoro fatto su [url”Twitter”]https://twitter.com/DanielWickham93[/url] da Daniel Wickham, giovane presidente della Lse MiddleEast Society. Wickham ha preso la foto con tutti i leader mondiali presenti alla marcia di Parigi ed ha iniziato ad elencare i vari motivi per cui molti dei presenti dovrebbero vergognarsi ad ergersi come difensori della libertà di espressione, visto che in casa loro ‘lavano i panni’ i ben altro modo. I motivi? Wickham sintetizza in una frase i ‘casi’ di ogni singolo leader, corredando i post con gli articoli relativi ad ognuno.
Ecco chi sono questi personaggi:

– Il re Abdullah II di Giordania, che ha condannato a 15 anni di lavori forzati il giornalista [url”Mudar Zahran”]http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Jordanian-Palestinian-who-writes-for-Post-sentenced-in-Jordan-to-life-with-hard-labor-341596[/url] , colpevole di aver scritto sul Jerusalem Post, frasi contro di lui. Zahran scriveva contro il regime giordano, ed è stato accusato di incitare all’odio e di danneggiare l’immagine del Paese.

Leggi anche:  Gisèle Pelicot, grazie per il grande coraggio: sei la donna dell'anno

– La Turchia, paese che detiene il record di giornalisti arrestati e con il premier Erdogan in continua lotta anche contro i social network vari, era rappresentata dal primo ministro Ahmet Davutoglu, che nonostante un’ultima legge che ha portato alla scarcerazione di alcuni reporter, tiene ancora in gabbia i curdi che scrivevano qualcosa in favore della loro causa.

Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, il cui esercito ha ucciso ben sette giornalisti nel conflitto con i palestinesi sulla Striscia di Gaza.

– Il primo ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, che nell’agosto del 2013 ha [url”imprigionato”]http://t.co/xzVRgmkM1g[/url] per oltre 500 giorni, giornalisti e fotoreporter di Al Jazeera, che hanno denunciato a più riprese quell’incubo lungo 16 mesi al grido: “Non siamo criminali”.

Sergej Viktorovič Lavrov, ministro degli Esteri della Russia, che ha imprigionato il [url”blogger”]http://t.co/J4Rca9chuA[/url] siberiano Dmitry Shipilov , colpevole di aver fatto riferimento
ad una marcia per un maggior controllo del petrolio in Siberia e di insulti ad un servitore dello Stato.

– Singolare il caso di Ramtane Lamamra, ministro degli Esteri algerino, che ha
tenuto in cella per 15 mesi e senza processo o accusa il giornalista Abdessami [url”Abdelhai”]http://t.co/KlDiwKibzL[/url] . Dopo varie torture e maltrattamenti subiti nel carcere di Tèbessa, Abdelhai ha tentato anche lo sciopero della fame. Ma il suo capo d’imputazione resta ancora un giallo.

– Vicenda simile per gli Emirati Arabi, rappresentati dal ministro degli Esteri Abdallah Bin Zayden Al Nahyan, che nel 2013 ha tenuto in isolamento il giornalista egiziano Anas [url”Fouda”]https://t.co/15ESrDu1kh[/url] senza alcun motivo ufficiale. L’unico indizio sul suo arresto sembra un possibile collegamento con la Fratellanza Musulmana.

Leggi anche:  Macron nomina il centrista Bayrou primo ministro ma non c'è una maggioranza

– Il primo ministro della Tunisia Mehdi Jomaa, che di recente ha condannato a 3 anni di reclusione Yassine [url”Ayan”]http://t.co/8fwfVHq8VK[/url] , colpevole di aver diffamato le forze militari. In un post su Facebook dell’agosto 2014, Ayan sosteneva che l’esercito non riuscisse a sfruttare in maniera adeguata le informazioni in suo possesso per combattere il terrorismo. Comunque la sua battaglia legale continua e secondo le ultime notizie date dai media turchi, ci sono buone possibilità che si arrivi presto alla scarcerazione.

Antōnīs Samaras, primo ministro della Grecia, dove durante le [url”manifestazioni”]http://t.co/Vr8MPsEwWR[/url] dello scorso giugno, alcuni giornalisti vennero picchiati a sangue da alcuni poliziotti antisommossa.

Jens Stoltenberg, rappresentava la Nato, ancora sotto accusa per i giornalisti serbi uccisi nei bombardamenti del [url”1999″]http://t.co/wp0mR0a52l[/url] .

– Il presidente del Mali Ibrahim Keita, che ha espulso vari giornalisti colpevoli di aver [url”denunciato”]https://t.co/LByJYLfxIe[/url] gli abusi e le violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito malese.

Khalid bin Ahmed Al Khalifa, ministro degli Esteri del [url”Barhain”]http://t.co/HX6Q3Ia3lG[/url] , uno degli stati con il maggior numero di giornalisti imprigionati e torturati. Versione su cui, ovviamente, le autorità locali nagano fino alla morte.

– Lo sceicco del Qatar, Mohamed Ben Hamad Ben Khalifa Al Thani, che ha condannato a 15 anni di carcere Mohamed Rashid al-Ajami, dopo una [url”poesia”]http://t.co/8s1N0wcPC6[/url] che criticava tutti i governi su Golfo.

Abu Mazen,presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che nel 2013 fece [url”arrestare”]http://t.co/2p0VXYB2Sd[/url] il giornalista Mamdouh Hamamreh  che lo aveva ritratto in una foto con la maglia del Real Madrid. Un fotomontaggio considerato come un vero e proprio insulto.

Leggi anche:  Salvini dimentica che l'attentatore di Magdeburgo era un fan di AfD e Elon Musk e accusa l'immigrazione

– Il ministro Miro Cerar rappresenta la Slovenia, dove il blogger Mitja Kunstelj  è stato incarcerato per sei mesi a [url”causa”]http://t.co/cBVYh4niys[/url] dei modi poco ortodossi in cui descriveva alcuni particolari privati della vita di due colleghi.

Enda Kenny, presidente dell’Irlanda, paese in cui la blasfemia è considerata un reato e dove quindi, per rigor di logica, non potrebbe mai nascere un equivalente di Charlie Hebdo.

Ewa Kopacz, la leader della Polonia, che lo scorso giugno ha ordinato l’irruzione dei servizi segreti nella sede del settimanale [url”Wprost”]http://t.co/6asFIyiLr9[/url] , per sequestrare delle intercettazioni ‘scottanti’, su alcuni membri del governo polacco.

Cameron, primo ministro del Regno Unito, dove nell’agosto del 2013 vennero distrutti dei documenti forniti al Guardian da Snowden, l’ex tecnico informatico della Cia. Il giornale britannico ha denunciato una vera e propria [url”persecuzione”]http://t.co/VLS13dnckJ[/url] delle autorità nei suoi confronti.

– L’ambasciatore dell’Arabia Saudita, dove il blogger Raif Badawi  è stato condannato a 10 anni di reclusione e a 1.000 frustate, per aver offeso l’Islam in un suo post.

– E poi c’era anche Renzi, in rappresentanza dell’Italia, luogo dove vogliamo fa credere che ci sia completa libertà, ma tutti sanno che esistono tanti piccoli e grandi Charlie in ogni redazione.

Così a dare credibilità a questa marcia non sono certo i personaggi qui elencati, ma quei due milioni (persona più, persona meno) che hanno camminato per Parigi, sventolando in faccia al mondo intero la voglia di essere liberi, in faccia anche ai nostri leader, che marciano per la libertà che poi calpestano quando si trovano a casa propria. Per concludere con un detto: paese che vai Charlie che trovi.

Native

Articoli correlati