Samantha Comizzoli, un’attivista italiana è stata arresta a Nablus dai soldati israeliani con l’accusa di essere una clandestina. La donna è arrivata in Israele con un visto turistico di tre mesi ma l’ha lasciato scadere senza rinnovarlo e senza richiedere permessi. L’attivista italiana sta girando la Cisgiordania per aiutare i palestinesi e per informare su ciò che sta accadendo, tenendo anche un blog in cui ha più volte denunciato le violenze gratuite dei soldati israeliani sulla popolazione civile palestinese. Dopo l’arresto le autorità israeliane, pur non chiudendo il blog della Comizzoli, le hanno bloccato gli account Facebook e Twitter.
Qualche settimana fa, durante una manifestazione, la donna ha cercato di usare il proprio corpo per difendere due ragazzi palestinesi, rimanendo ferita al seno e al braccio da due proiettili. Il 7 giugno, ormai conscia che le restavano pochi giorni di permanenza, ha scritto un post, in cui ha spiegato la sua situazione: “Qualcuno mi ha messo in casa qualcosa che non deve assolutamente esserci. Me ne sono liberata quando ho capito, subito, il giorno dopo e sono stata, sì, fortunata che i soldati non sono venuti quella notte. Questo però mi ha portato a pensare che abbiano deciso di venire qui, ma soprattutto che prima di venire a prendermi vogliono screditarmi e distruggere il mio lavoro”. Samantha ha spiegato che temeva di poter fare la fine di Vittorio Arrigoni, rapito e ucciso da un gruppo sconosciuto, legato ad Israele. Per fortuna la sua storia è andata diversamente. La donna adesso sarà rimpatriata in Italia, anche se probabilmente la Comizzoli si opporrà a questa soluzione.
Di seguito l’ultimo post, datato 11 giugno 2015, apparso sul blog di Samantha Comizzoli.
Oggi: una storia orrenda
di Samantha Comizzoli*
Questa è una storia orrenda che ho vissuto oggi. Ne sono testimone e in parte partecipe. Vi prego di leggerla, farla leggere e divulgarla perchè non ci sono giornalisti che la conoscono, ma va assolutamente fatta conoscere.
Avevo appuntamento con una mia amica a casa sua, nel villaggio di Assira Al Qabilia, Nablus. Volevamo parlare di un piccolo progetto per i bambini che forse inizierò presto, il tutto bevendo un caffè. Con me è venuto un ragazzo italiano che è qui in vacanza. Siccome questo ragazzo non parla né inglese né arabo, ha colto l’occasione per farsi una passeggiata nel villaggio mentre noi parlavamo.
Ha iniziato a camminare su, verso la collina, in mezzo alle case del villaggio, e un paio di bambini che l’hanno visto hanno iniziato ad avvicinarsi per fargli compagnia. Nessun dialogo ovviamente, se non a gesti. Si è fermato quando finiva il villaggio di Assira e ha scattato 3 foto alla cima della collina (dal quale era ancora molto distante), dove c’è l’insediamento illegale di Yhitzar.
E’ tornato, io avevo finito, abbiamo preso il service e siamo tornati a Nablus.
Quando siamo arrivati al checkpoint di Howwara abbiamo visto molti soldati con le jeep, pronti ad entrare in azione (e ho mandato un tweet). Scesi dal service ricevo una telefonata della mia amica, agitata, che mi dice di tornare subito indietro perchè ci sono lì i soldati israeliani e vogliono il ragazzo italiano che ha scattato le foto.
Prendiamo un taxi per far prima e torniamo indietro al villaggio di Assira Al Qabilja. Nel frattempo davanti alla casa erano arrivate molte donne del villaggio.
La mia amica ci ha fatti tornare di corsa perchè: i soldati israeliani erano piombati nel villaggio con 10 jeeps e avevano preso uno dei due bambini che aveva tentato un dialogo con il ragazzo italiano e volevano anche l’altro bambino se il ragazzo italiano non si fosse consegnato ai soldati.
Il bambino che avevano preso ha 15 anni.
Ovviamente c’è i panico e mi sembra tutto molto strano, visto che su quella strada a fare le foto ci si è stati decine di volte, anche a filmare (le immagini sono anche nel mio primo film “shoot”).
Arrivano il padre del bambino ed un altro palestinese di ritorno dall’insediamento di Yhitzar, dove i soldati tengono il bambino. Fanno le domande al ragazzo italiano e gli spieghiamo che è un turista e che ha fatto 3 foto, ma soprattutto che non parla arabo né inglese. Ritornano a parlare con i soldati e portano il numero di telefono del ragazzo a modi “se lo volete contattatelo voi”.
Inizia l’attesa….passano due ore fra sigarette e caffè. Poi, arriva la comunicazione che il bambino è stato rilasciato.
Il problema non sono quelle 3 foto del cazzo che ha fatto l’italiano. Il problema è che qui un bambino di 15 anni non è nemmeno libero di camminare su una strada perchè deve sempre temere di essere rapito dai soldati israeliani. Il ragazzo italiano è capitato, secondo logica, in mezzo a qualcosa che volevano già fare oggi (le jeeps e i soldati erano pronti ad Howwara). Così, per buttare anche un po’ di merda sulla presenza degli internazionali e su chi stringe contatti con loro, hanno pensato bene di inscenare questa storia. Se non fosse così, pensateci bene, non sarebbero almeno venuti a prendersi la macchina fotografica o a chiedere di cancellare le foto?
Anche questa storia, raccontatela ai vostri figli e ditegli che i mostri esistono.
*dal blog [url”samanthacomizzoli.blogspot.it”]http://samanthacomizzoli.blogspot.it/[/url]Argomenti: Palestina