Sette domande scomode sull’Isis e le guerre contro il terrorismo
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Sette domande scomode sull’Isis e le guerre contro il terrorismo

Chi è vittima di chi? Esiste il terrorismo cristiano? Il quotidiano El Diario ragiona in termini per nulla scontati sul conflitto in atto. [Iñigo Sáenz de Ugarte]

Sette domande scomode sull’Isis e le guerre contro il terrorismo
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20 Novembre 2015 - 16.22


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di Iñigo Sáenz de Ugarte

Il terrorismo jihadista è il più pericoloso?

Si, per i mussulmani. Qualche giorno fa, l’ISIS ha ucciso 37 civili a Beirut in una zona abitata in maggioranza da sciiti. Nei nostri paesi, nessuno ha lanciato hashtag o campagne di cordoglio. Molti media hanno persino sottolineato che l’attentato era stato fatto in una “zona controllata dagli Hezbollah”. Non si fanno hashtag per gli Hezbollah.
Nelle guerre in Iraq e Siria decine o centinaia di migliaia di mussulmani sono morte in queste guerre civili scatenate dall’invasione statunitense dell’Iraq. Non ce lo scordiamo. Il rovesciamento di Saddam Hussein aveva come obiettivo non tanto di porre fine a una dittatura, quanto di ridisegnare le frontiere politiche del Medio Oriente e cominciare una nuova era. [url”«Saremo ricevuti come liberatori»”]http://thinkprogress.org/politics/2008/03/14/20346/cheney-mccain-liberators/[/url], ha detto Cheney a marzo 2003.
È stato uno dei più grandi errori storici di sempre, al pari dell’invasione sovietica dell’Afghanistan o della decisione di Hitler di lanciarsi sull’URSS. Ha rafforzato l’Iran portando i suoi alleati al potere a Bagdad e ha scatenato una paranoia nei regimi sunniti sul crescente potere degli sciiti. La campagna di bombardamenti sauditi in Yemen deve molto, quasi tutto, a questo confronto che si ripete in forme diverse in vari punti del Medio Oriente e ha creato abbastanza mostri che ci perseguiteranno nei prossimi anni. E c’è sempre il tempo di crearne degli altri.

L’ISIS, come prima Al Qaeda, è una minaccia reale e incombente per gli abitanti di Europa e Stati Uniti?

L’orribile carneficina di Parigi ci porta a ritenere che su questo pianeta il terrore abbia la forma di un giovane mussulmano fanatico che farà di tutto per uccidere un europeo o uno statunitense. [url”La realtà indica che non è così.”]http://www.thedailybeast.com/articles/2015/01/14/are-all-terrorists-muslims-it-s-not-even-close.html?utm_source=digg&utm_medium=email[/url] Negli USA, è più facile venire uccisi per mano di un compatriota.
Però ci sono morti che non richiedono di scatenare una guerra universale.
Evidentemente, se chi commette una strage [url”è un fanatico cristiano”]http://www.guerraeterna.com/archives/2011/07/las_ideas_del_a.html[/url], non bisogna approfondire troppo. È solo un pazzo. Il suo odio non rappresenta nessuno e non c’è altro da vedere.

Ci troviamo di fronte a una guerra da affrontare come tale e senza mezzi termini?

Questo è il punto di vista dei falchi e di chi pensa che non c’è problema strategico che non si possa risolvere uccidendo qualcuno. Sono coloro che credono che ogni anno ci troviamo di fronte al dilemma di Neville Chamberlain e che bisogna sempre lottare contro il male assoluto con le armi in mano.
Dal 2001, i paesi occidentali hanno invaso Afghanistan e Iraq. Hanno lanciato i loro droni su Pakistan, Yemen e Somalia in una campagna permanente che non sembra avere fine. Hanno imposto in Libia una zona di esclusione aerea che ha portato al rovesciamento di Gheddafi. Hanno tollerato l’invasione saudita dello Yemen. Hanno ricostituito eserciti come quello iracheno che si sono rivelati una banda mediocre e corrotta. Hanno annunciato che il regime siriano doveva sparire, aiutato alcuni gruppi di insorti e tollerato che sauditi e turchi armassero i più pericolosi nemici di Assad. Hanno lanciato una campagna di bombardamenti contro l’ISIS che al 12 novembre conta già [url”8.125 attacchi aerei”]http://www.defense.gov/News/Special-Reports/0814_Inherent-Resolve[/url] (costati 5mld milioni di dollari, una media di 11 milioni al giorno), a cui ora si è aggiunta la Russia.
Non sembra che in quattordici anni l’ideologia ufficiale dell’Occidente sia stata il pacifismo. [url”Sarkozy ha detto”]https://twitter.com/itele/status/665474592178311168[/url] che «niente può essere come prima, deve essere una guerra totale». Allora come definirebbe quello che è già successo dal 2001?

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È una guerra contro l’Islam in cui tutti i mussulmani sono sospetti?

Niente piacerebbe di più agli jihadisti che si propagasse questa idea in Europa. Non bisogna negare che molti europei la pensano così, altrimenti Marine Le Pen non insisterebbe tanto su questo. Per l’ISIS, è una guerra di civiltà contro l’Occidente dei “crociati” in cui vogliono reclutare i mussulmani per convincerli che la “jihad” che gli impone la loro religione non consiste nello sforzarsi di vivere secondo i suoi precetti, ma di imbarcarsi in una guerra permanente contro gli infedeli.
Precisamente, questo è quanto ribadiva continuamente Al Qaeda. Pensiamo a tutti gli articoli dopo l’11S che ci dicevano che l’organizzazione di Bin Laden voleva portare l’Islam nel cuore dell’Europa, ritornare a “Al Andalus” e alle sue glorie passate. Era la guerra definitiva in cui la tipica pusillanimità europea faceva prevedere un futuro oscuro.
Niente di questo è accaduto. Non c’è stata alcuna Al Andalus jihadista. I mussulmani di Francia, Regno Unito e Spagna non si sono ribellati ai loro padroni pagani. Bin Laden si è rintanato in uno chalet a guardare videocassette, è stata eliminato a sangue freddo e il suo corpo è stato gettato in mare. La sua organizzazione in Iraq è stata annientata (anche se è risorta con un altro nome, quello dell’ISIS, grazie allo Stato mancato che è l’Iraq e alla guerra in Siria).
Quanto ottenuto con Bin Laden ci dà qualche indizio su quello che succederà con l’ISIS. In un’epoca in cui i leader europei fanno fatica a lasciare il segno, ci potremmo chiedere se non è vero che Bin Laden avrebbe ragione, se fosse vivo, di vantarsi dei suoi successi.
In un certo senso, quella guerra permanente ha avuto in Occidente un prezzo terribile in termini politici, economici e morali. I nostri immacolati valori sono stati difesi nella prigione di Abu Ghraib denudando i prigionieri e mettendogli una cinghia al collo; a Haditha, Iraq, assassinando a sangue freddo uomini, donne e bambini; e nelle prigioni nascoste della CIA utilizzando il water-boarding sui sospettati di terrorismo.
Mi chiedo cosa possa far credere a qualcuno che la prosperità dell’Occidente ci ha resi deboli.



Come si alimenta la base ideologica dello jihadismo?


La superiorità razzista e xenofoba che provano gli jihadisti ha una delle sue principali radici contemporanee nel wahabismo saudita. A partire da qui, non è necessario scrivere altro. In questi momenti così dolorosi sarebbe di cattivo gusto sottolineare che i valori repubblicani francesi hanno un prezzo, questo sì, molto alto. La Francia venderà a Riad tutte le armi di cui ha bisogno, per esempio per sostenere future guerre come quella attuale nello Yemen. Forse tra qualche anno queste armi torneranno per svegliarci dai nostri sogni, anche se ci sarà chi dice che siamo innocenti. I nostri erano solo affari.

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Esiste una minaccia interna in Occidente, una quinta colonna jihadista?

Se così fosse, da tempo gli attentati di Madrid, Londra e Parigi si sarebbero ripetuti con una frequenza insopportabile. Però è vero che la Francia ha un grave problema. Chiunque conosca Londra e Parigi conosce le differenze tra le due città, sa che nella capitale francese una generazione di giovani, figli e nipoti di immigranti, è cresciuta nel rifiuto dello Stato e nell’odio verso l’unico organismo pubblico con cui ha un rapporto, la Polizia. Non sa nulla della égalité e fraternité che compaiono nelle grandi dichiarazioni dei politici.
Le pubbliche autorità fanno delle promesse, e molte, sulla necessità che lo Stato non abbandoni le banlieues. Ma a dieci anni dagli scontri del 2005, «non è cambiato nulla».
Molti di questi giovani si accontentano di una violenza a bassa intensità con cui rispondere alle ingiustizie, reali o presunte che siano. Alcuni si possono spingere oltre e lo Stato comincia a temere che siano troppi per poterli controllare.

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Gli attentati di Parigi vogliono dire che l’ISIS è più forte che mai?

Negli ultimi giorni, gli jihadisti hanno subito palesi sconfitte nella guerra in Siria. Una, nella località di Sinjar, contro i curdi delle milizie del YPG, con l’appoggio statunitense, e la seconda nella provincia di Aleppo, dove l’Esercito ha rotto l’assedio della base di Kuweiris.
Non è più forte di quanto non fosse sei mesi fa. Non ha alcuna possibilità di avanzare su Damasco, meno che mai con l’appoggio aereo russo ad Assad. Gli Stati Uniti stanno aumentando le forniture ai curdi, l’unica maniera che hanno di indebolire l’ISIS senza rafforzare al contempo Al Qaeda o Assad.
Però bisogna ammettere che finché c’è una guerra in Siria e lo Stato iracheno è incapace di controllare il suo territorio, l’ISIS continuerà ad esistere.
C’è una possibilità molto preoccupante, che gli jihadisti decidano che il “califfato” non potrà allargare il territorio che controlla in Siria, e che il suo prossimo campo di battaglia sia in Europa. Che vogliano emulare la Al Qaeda di Bin Laden e il suo progetto di attaccare il “nemico lontano”. Causeranno molto dolore, ma avranno lo stesso destino.

Iñigo Sáenz de Ugarte, [url”El diario”]http://www.eldiario.es/zonacritica/preguntas-incomodas-ISIS-guerras-terrorismo_6_452564742.html[/url]

Traduzione di Flavia Vendittelli

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