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Rachel Corrie è stata ammazzata nel marzo 2003 da un bulldozer israeliano mentre faceva da scudo umano insieme ad altri attivisti a difesa di una casa nel campo profughi di Rafah, nella Striscia di Gaza. I genitori Cindy e Craig hanno fatto proprio l’impegno della figlia: hanno visitato la Striscia, hanno parlato con la gente e pranzato nella casa che Rachel cercava di difendere dalla demolizione. E poi hanno creato una fondazione ([url”rachelcorriefoundation.org”]http://rachelcorriefoundation.org/[/url]) per supportare azioni di base e progetti umanitari a Gaza.
Per Israele l’uccisione dell’attivista americana è stata un «incidente», come recita la sentenza emessa lo scorso agosto, al termine di un lungo processo civile nel tribunale di Haifa, voluto dai genitori della giovane americana. Vi si legge che Rachel «si è messa da sola e volontariamente in pericolo. É stato un incidente da lei stessa provocato». I giudici hanno dato pieno credito alla versione dell’accaduto fornita dall’autista della ruspa militare, il soldato Y.P. (la sua identità non è mai stata rivelata). Nella testimonianza, resa alla fine del 2010, Y.P., confermò che erano presenti civili mentre «operava» la ruspa il 16 marzo 2003. Ma che non smise di «lavorare» perché aveva ricevuto l’ordine di continuare: «Io sono solo un soldato, non davo io gli ordini».
Rachel Corrie, con addosso una giacca arancione fosforescente, Y.P. ha detto di non averla vista, e di non aver udito i suoi compagni urlare quando la giovane è finita sotto i cingoli. I genitori di Rachel hanno accolto con dolore e frustrazione la decisione della corte. Ma non con rassegnazione: «Tanti ci chiedono che cosa ci aspettavamo dal processo, noi non ci aspettavamo giustizia, noi la pretendiamo. E penso che ognuno debba pretenderla, altrimenti la giustizia non ci sarà e semplicemente morirà», ha dichiarato Craig Corrie, padre della giovane.