di Ambra Notari
Solo pochi giorni fa alcuni rappresentanti del Black Lives Matter, il movimento di protesta americano? in difesa delle persone di colore, sono arrivati a Rio. Per tre giorni si sono uniti, confrontati e abbracciati con gli attivisti dei movimenti afro-brasiliani, tra cittadini delle favelas e madri di giovani neri uccisi dalla polizia. Insieme hanno unito le voci per dire ‘no’ al razzismo, in un momento particolare per la storia della città carioca: la vigilia dei Giochi Olimpici. L’incontro si è concluso il 23 luglio, una data scelta non a caso: il 23 luglio 1993 otto ragazzini di strada furono uccisi dalla polizia fuori dalla chiesa della Candelaria di Rio, dove erano soliti rifugiarsi per la notte. Alcuni di loro furono colpiti a morte mentre dormivano. Quell’episodio è ricordato come “il massacro della Candelaria”.
Oggi come allora, la violenza della polizia pacificatrice nelle favelas è prassi quotidiana. In nome della pubblica sicurezza ha eletto un gruppo di persone “minaccia per la società” e ne ha fatto il suo bersaglio. Di questo gruppo di “persone non gradite” fanno parte, soprattutto, i giovani neri di favelas. Secondo i dati diffusi dall’Onu lo scorso anno, la polizia in servizio ha ucciso oltre 2 mila persone in Brasile, in maggioranza neri, a Rio il triste primato. Di fronte a una situazione tanto grave, lo stesso Stato ha dovuto accettare l’introduzione di alcune norme per frenare la violenza della polizia, salvo poi conferire ancora più potere agli agenti con la “Legge generale delle Olimpiadi” e le misure anti-terrorismo, introdotte proprio in occasione dei Giochi. Già, perché se la situazione non fosse già abbastanza tesa, pochi giorni fa una decina di brasiliani sono stati arrestati perché sospettati di terrorismo di matrice islamica. Senza dimenticare il virus Zika (per il quale 152 medici ed esperti di tutto il mondo hanno chiesto la sospensione dei Giochi).
A meno di una settimana dalla partenza della XXXI Olimpiade (partirà venerdì 5 agosto, ma in Italia saranno le 00.15 del 6), il Brasile sembra non trovare pace, come spiega Barbara Pascali, responsabile comunicazione, web e HR della onlus italo-brasiliana Il Sorriso dei miei Bimbi: “La città è al collasso. Meno di un mese fa, lo Stato di Rio ha dichiarato il fallimento, tra tangenti, infrastrutture incerte (ad aprile, a 4 mesi dall’inaugurazione, è crollata la pista ciclabile fiore all’occhiello dei lavori pre-Olimpiadi, ndr) e problemi di sicurezza. Al di là dei Giochi, il default aggrava la già drammatica situazione della sanità pubblica, alle prese con Zika e non solo. Da molti mesi lo Stato ha smesso di pagare gli stipendi dei suoi dipendenti, che se va bene arrivano parziali o rateizzati, e le pensioni. Il debito accumulato è stimato in circa 19 miliardi di Reais, quasi 5 miliardi e mezzo di euro”.
La città, continua Pascali, è ostaggio della criminalità: “Le forze dell’ordine non sono in grado di dare nessuna risposta: nonostante il costosissimo piano di pacificazione delle favelas, la situazione è di guerra ovunque. Quello della Upp, la polizia pacificatrice, doveva essere il piano rivoluzionario in grado di dare l’immagine del pieno controllo da parte dello Stato. Un controllo necessario per trasmettere una sensazione di sicurezza e fornire garanzie al Cio e alle delegazioni di tutto il mondo, ma che ora rischia di implodere a ridosso dell’appuntamento più importante”.
In questo contesto, Pascali spiega che il problema terrorismo è sentito poco: “Sono soprattutto i media che ne parlano, anche se sappiamo bene che il rischio è reale e? tangibile. Il punto è che un popolo che soffre, si alza all’alba e lavora fino a notte fonde, portando avanti anche 2 o 3 impieghi, così come accade nelle periferie e nelle favelas intorno alle grandi città, è un popolo che non ha tempo di pensare anche a questa ennesima minaccia. Di contro, la paura della polizia, sempre più violenta, aumenta, e non solo tra gli afro brasiliani. Come dire: gli allarmi bomba e le minacce di attentato spaventano meno della realtà violente in cui sono costrette a vivere – da anni – diverse fasce della popolazione”.
E se mancano poche ore alla cerimonia d’apertura, impossibile non pensare a quello che succederà dopo la chiusura delle Olimpiadi, arrivate in città dopo i Giochi Panamericani del 2007 e ai Mondiali del 2014, che hanno contribuito a lasciare questa devastante eredità. “Noi del Sorriso dei miei Bimbi, insieme con gli altri abitanti di Rocinha (la favela più grande di Rio, forse del Sudamerica, dove la onlus lavora, ndr), ce lo domandiamo continuamente, e la risposta è tutt’altra che ovvia. In uno Stato che cambia moneta come noi cambiamo un paio di scarpe, come recita un adagio, siamo abituati a vivere momenti di estrema incertezza finanziaria, economica e politica. Ma…”.
Il “ma” di Barbara fa riferimento agli ultimi 10/12 anni di governi di centro-sinistra che, aiutati da una positiva congiuntura economica, hanno restituito al Paese una certa autorevolezza, “dando l’impressione, finalmente, dentro e fuori i nostri confini, di poter promuovere un nuovo ‘modus vivendi’ più democratico, in uno stato di diritto più consolidato”. Impressione crollata, però, sotto il peso dei più recenti avvenimenti politici (l’impeachment di Dilma Roussef, solo per citarne uno): “Ci hanno ricordato che siamo in Sudamerica, dove primo, secondo e terzo mondo si aggrovigliano in una danza oserei dire mortale. Per questo temiamo il peggio per il post-Olimpiadi: quando i riflettori si spegneranno, quando i media smetteranno di farci domande, quando le istituzioni si sentiranno libere di operare senza alcun controllo esterno, cosa ne sarà del gigante verde-oro?”.
Pascali sottolinea come le attuali vicissitudini abbiano segnato una retrocessione culturale e umana del Paese, segnato oggi dalle ingiustizie sociali che colpiscono – per affondarla – una maggioranza di persone sempre più povera e sofferente. Qualche esempio? “Siamo nel 2016 e le ‘babà’, le governanti afro-brasiliane, obbligatoriamente vestite di bianco, non posso usare le toilettes nei country club di Rio. Per questo con la nostra onlus continuiamo a promuovere, da 16 anni a questa parte, programmi di educazione e inclusione sociale per gli abitanti di Rocinha, soprattutto per difendere i diritti dei più piccoli. Intendiamo l’educazione come strumento in grado di spezzare quel circolo vizioso di sofferenza e ignoranza tipico delle favelas, in favore della promozione dell’emancipazione umana, dell’empatia e dell’amore”.