Esclusi dal parlamento cinese i due politici indipendentisti di Hong Kong che avevano portato degli striscioni in parlamento Hong Kong non è la Cina.
La decisione. Dopo che il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, organo legislativo cinese, si è pronunciato stamane sul caso dei due deputati di Hong Kong pro-indipendenza, che avevano invalidato il loro giuramento riaffermando la fedeltà alla “nazione di Hong Kong”.
Pechino, che non tollera nessun tipo di velleità indipendentista, nemmeno se la sfida viene da due giovani parlamentari senza un compatto movimento alle spalle, ha deciso che questo era inammissibile, e, scavalcando le Corti di Hong Kong – contravvenendo dunque alle leggi che governano i rapporti fra Pechino e la ex-Colonia britannica – ha decretato che i due deputati devono essere espulsi dal Parlamento. Non è ancora chiaro se questo darà dunque luogo a nuove elezioni per sostituire i parlamentari espulsi, e gli altri che, dichiarandosi in favore dell’ “auto-determinazione” di Hong Kong, potrebbero aver invalidato il loro giuramento.
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L’interpretazione di Pechino, infatti, potrebbe essere retroattiva, ma tutti i dettagli dovranno ora essere affrontati da Hong Kong.
La decisione di Pechino fa salire ulteriormente la tensione nel territorio, al punto che i quotidiani locali hanno riportato la notizia che 2000 poliziotti anti-sommossa saranno permanentemente in stand by per impedire possibili disordini, simili a quelli della notte fra domenica e lunedì.
Margaret Ng, noto avvocato di Hong Kong pro-democrazia, ha dichiarato che “la decisione di Pechino di scavalcare la legge di Hong Kong dovrebbe preoccupare il mondo intero: se questo è il modo in cui la Cina intende rispettare gli impegni presi, nessuno è al sicuro”. Il Capo dell’Esecutivo Leung Chung-ying, invece, ha rincarato la dose, sollevando l’ipotesi che sia venuto il momento di varare a Hong Kong leggi anti-sovversione (note come Articolo 23 della mini-Costituzione di Hong Kong) e anti-tradimento, facendo temere che anche Hong Kong, relativamente libera, possa cominciare a sopprimere il dissenso politico in modo simile a quanto avviene in Cina.
Foto: Yau Wai-ching mostra in parlamento la scritta “Hong Kong is Not China” (ANTHONY WALLACE/AFP/Getty Images)